Novembre e dicembre 2016.
(16-200)
Cerco di far sintesi
degli ultimi due mesi di diario (30-35 pagine).
Ne ho bisogno, perchè
nella pura cronaca quotidiana si perde il filo.
Da alcuni fatti mi sto
convincendo che se si muore di vecchiaia, ci si può accorgere della
prossimità della morte (mi riferisco soprattutto alle parole di
Giorgio Albertazzi, 16-169 e Paolo Poli, 16-048). Basta saperli
cogliere. E non essere terrorizzati dal suo arrivo.
Idea che è opposta a
quella affermata da Iona Heath, in Modi di morire, secondo la
quale la morte è totalmente imprevedibile.
Mi è anche sorto il
dubbio se non sia meglio morire da soli piuttosto che in compagnia,
come fanno gli animali. Morte come evento personale e intimo, quasi
da custodire gelosamente.
È che non sono così prossimo alla fine
della vita da avere qualche barlume di verità.
Temo che le mie siano
solo idee astratte.
C'è una qualche
continuità fra vita e morte? Mi pare che gli ultimi anni della vita
siano sempre più spogli di vita, da rasentare la condizione della
morte. In questo senso, la morte è la logica continuazione di una
vita diventata scarsa di vita (vedi 16-188).
In tarda età la morte
può essere desiderata.
Mi accorgo solo ora di
aver scritto parecchio sulla morte in questi due mesi.
Anche la mia ultima
mania, quella dell'urgenza di eliminare gran parte degli oggetti che
posseggo (sulla quale ho scritto più pagine negli ultimi tempi), in
fondo ha a che fare con la morte. Nel senso di arrivare nudi alla
meta.
Senza appesantimenti.
Nonostante ciò, mi sento
ancora immortale: la morte la sento lontana.
E nel resto delle pagine?
Continuo la mia personale
fenomenologia della vecchiaia.
Le debolezze, l'assoluta
necessità di camminare, le lentezze, l'inizio del disinteresse della
vita. E ancora: la prudenza, la lenta discesa anno dopo anno, il
desiderio sempre maggiore di comodità.
Ma pure i lati positivi:
una lunga vecchiaia permette di vivere più vite, il desiderio
di vivere che continua (almeno fin verso la fine), la libertà di
smettere di celebrare riti sociali inutili.
E i vantaggi di vivere in
compagnia: ci si rivela a vicenda il progredire della vecchiaia, per
non farsi illusioni; oppure ci si interroga sulle proprie paure
(della morte, della perdita di autonomia).
E, visti i momenti in cui
anche da vecchi si sta molto bene, una nuova caratteristica: la
vecchiaia è intermittente (con intervalli di benessere sempre
più brevi e sporadici).
Infine, Umberto
Gallimberti (ne I miti del nostro tempo) mi ha fornito un'idea nuova, in contrasto con quanto ho
scritto negli anni passati: i vecchi hanno il compito di ascoltare,
non di insegnare.
Ascoltare i giovani, le
loro esperienze, senza cercare di insegnare le nostre, perchè ogni
generazione deve farsi le proprie e impara da quelle.
Un bel colpo a tutte le
mie velleità d'insegnamento!
(L'indice per argomenti
del 2013 si trova a pagina 442; quello del 2012 a pagina 107. La
sintesi del 2012 si trova alla pagina 14-41. )
(per comunicazioni private: holgar.pd@gmail.com )
(per comunicazioni private: holgar.pd@gmail.com )