31 dicembre 2016

Novembre e dicembre 2016 (16-200)

Novembre e dicembre 2016. (16-200)
Cerco di far sintesi degli ultimi due mesi di diario (30-35 pagine).
Ne ho bisogno, perchè nella pura cronaca quotidiana si perde il filo.

Da alcuni fatti mi sto convincendo che se si muore di vecchiaia, ci si può accorgere della prossimità della morte (mi riferisco soprattutto alle parole di Giorgio Albertazzi, 16-169 e Paolo Poli, 16-048). Basta saperli cogliere. E non essere terrorizzati dal suo arrivo.
Idea che è opposta a quella affermata da Iona Heath, in Modi di morire, secondo la quale la morte è totalmente imprevedibile.
Mi è anche sorto il dubbio se non sia meglio morire da soli piuttosto che in compagnia, come fanno gli animali. Morte come evento personale e intimo, quasi da custodire gelosamente. 
È che non sono così prossimo alla fine della vita da avere qualche barlume di verità.
Temo che le mie siano solo idee astratte.

C'è una qualche continuità fra vita e morte? Mi pare che gli ultimi anni della vita siano sempre più spogli di vita, da rasentare la condizione della morte. In questo senso, la morte è la logica continuazione di una vita diventata scarsa di vita (vedi 16-188).
In tarda età la morte può essere desiderata.
Mi accorgo solo ora di aver scritto parecchio sulla morte in questi due mesi.
Anche la mia ultima mania, quella dell'urgenza di eliminare gran parte degli oggetti che posseggo (sulla quale ho scritto più pagine negli ultimi tempi), in fondo ha a che fare con la morte. Nel senso di arrivare nudi alla meta.
Senza appesantimenti.
Nonostante ciò, mi sento ancora immortale: la morte la sento lontana.

E nel resto delle pagine?
Continuo la mia personale fenomenologia della vecchiaia.
Le debolezze, l'assoluta necessità di camminare, le lentezze, l'inizio del disinteresse della vita. E ancora: la prudenza, la lenta discesa anno dopo anno, il desiderio sempre maggiore di comodità.
Ma pure i lati positivi: una lunga vecchiaia permette di vivere più vite, il desiderio di vivere che continua (almeno fin verso la fine), la libertà di smettere di celebrare riti sociali inutili.
E i vantaggi di vivere in compagnia: ci si rivela a vicenda il progredire della vecchiaia, per non farsi illusioni; oppure ci si interroga sulle proprie paure (della morte, della perdita di autonomia).
E, visti i momenti in cui anche da vecchi si sta molto bene, una nuova caratteristica: la vecchiaia è intermittente (con intervalli di benessere sempre più brevi e sporadici).

Infine, Umberto Gallimberti (ne I miti del nostro tempo) mi ha fornito un'idea nuova, in contrasto con quanto ho scritto negli anni passati: i vecchi hanno il compito di ascoltare, non di insegnare.
Ascoltare i giovani, le loro esperienze, senza cercare di insegnare le nostre, perchè ogni generazione deve farsi le proprie e impara da quelle.
Un bel colpo a tutte le mie velleità d'insegnamento!

(L'indice per argomenti del 2013 si trova a pagina 442; quello del 2012 a pagina 107. La sintesi del 2012 si trova alla pagina 14-41. )
(per comunicazioni private:           holgar.pd@gmail.com             )

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