Abituarsi. (16-188)
Stamattina, appena desto,
sono uscito sul terrazzo a vedere che tempo faceva.
C'era nebbia, ma non
faceva gran freddo. Ho guardato il termometro: un grado (centigrado)
sotto lo zero.
Un paio di mesi or sono,
agli inizi dell'autunno, la temperatura minima mattutina era ancora
sopra i dieci gradi. Eppure mi pareva freddo, tanto da dovermi
mettere i guanti per uscire in bicicletta. Allora pensavo: chissà
che freddo patirò quando arriverà lo zero!
Invece giorno dopo giorno
la temperatura è lentamente calata, con gradualità, e così mi sono
abituato e lo zero non mi pare poi così freddo.
Così accade anche nella
vecchiaia. Le perdite sono graduali, lente. Occorrono anni per
raggiungere situazioni difficili. Ci si abitua lentamente ad avere
meno. Perfino a non avere quasi più niente: anche a queste
condizioni ci si arriva lentamente e così le si sopporta senza
lamentarsene troppo, come se si fossero sempre vissute.
Mi figuro che negli
ultimi anni ci si abitui a non aver niente. A fare una vita senza
vita.
Ci si abitua alla morte
mentre si continua a vivere.
La morte diventa la
logica continuazione di quella non vita.
Penso che quella sia la
morte naturale.
Allora l'istitnto di sopravvivenza scompare (vedi 16-185).
(L'indice per argomenti
del 2013 si trova a pagina 442; quello del 2012 a pagina 107. La
sintesi del 2012 si trova alla pagina 14-41. )
(per comunicazioni private: holgar.pd@gmail.com )
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