10 dicembre 2016

Abituarsi (16-188)

Abituarsi. (16-188)
Stamattina, appena desto, sono uscito sul terrazzo a vedere che tempo faceva.
C'era nebbia, ma non faceva gran freddo. Ho guardato il termometro: un grado (centigrado) sotto lo zero.
Un paio di mesi or sono, agli inizi dell'autunno, la temperatura minima mattutina era ancora sopra i dieci gradi. Eppure mi pareva freddo, tanto da dovermi mettere i guanti per uscire in bicicletta. Allora pensavo: chissà che freddo patirò quando arriverà lo zero!
Invece giorno dopo giorno la temperatura è lentamente calata, con gradualità, e così mi sono abituato e lo zero non mi pare poi così freddo.

Così accade anche nella vecchiaia. Le perdite sono graduali, lente. Occorrono anni per raggiungere situazioni difficili. Ci si abitua lentamente ad avere meno. Perfino a non avere quasi più niente: anche a queste condizioni ci si arriva lentamente e così le si sopporta senza lamentarsene troppo, come se si fossero sempre vissute.
Mi figuro che negli ultimi anni ci si abitui a non aver niente. A fare una vita senza vita.
Ci si abitua alla morte mentre si continua a vivere.
La morte diventa la logica continuazione di quella non vita.
Penso che quella sia la morte naturale.
Allora l'istitnto di sopravvivenza scompare (vedi 16-185).


(L'indice per argomenti del 2013 si trova a pagina 442; quello del 2012 a pagina 107. La sintesi del 2012 si trova alla pagina 14-41. )
(per comunicazioni private:           holgar.pd@gmail.com             )

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