29 ottobre 2013

La felicità della vecchiaia (388)

La felicità della vecchiaia. (388) (29/10/13)
Ho ricevuto queste due paginette di un anziano, pubblicate in internet, ma non so dove. Non conosco nemmeno l'autore. Comunque le scrivo ugualmente nel mio blog. Sono proprio belle.
Per rispetto dell'autore lascio tutto così come l'ho trovato.

alla fine dei cinquant’anni conclusi con un sorriso di sorpresa che il decennio che avevo alle spalle era stato il migliore della mia vita.
questo ribaltava parecchio un paio di secoli di tradizione romantica sulla bellezza della giovinezza, che solo Nizan aveva cominciato a contestare, ma senza troppa efficacia, considerando che era morto suicida a soli quarant’anni (soli quaranta, pensa un po’!).
arrivato oggi a metà del decennio successivo (considerando che fui concepito nel luglio 1947 sulle rive del Boite a Cortina, come mi fece sapere mia madre), e senza poter dire ancora se non possa essere l’ultimo della mia vita, rifletto ogni tanto sulle caratteristiche per me di questo periodo che va considerato, latinamente e virilmente, come l’inizio della vecchiaia.
che è una nuova adolescenza, quanto a crisi esistenziale, solo vissuta a rovescio:
lì esplodono le tempeste ormonali, qui si spengono,
lì la mente si apre a mondi sconosciuti, qui si offusca lentamente,
lì scopri di essere miope e ti metti gli occhiali, qui di essere diventato anche presbite e te li togli, senza parlare di cataratta per chi ce l’ha,
lì cresci in altezza, qui in larghezza, se non ci stai attento.
lì gli altri ironizzano sui brufoli, qui sulle stempiatura che dilaga e diventa quasi calvizie,
lì sei infelice e pensi che tutti te lo leggano sugli occhi, qui sei felice e ti diverti a pensare che nessuno lo sospetta nemmeno.
già, perché il segreto della vecchiaia è la felicità.
le malattie sono soltanto la polvere nell’ingranaggio e probabilmente sono volute da un qualche disegno autoprodotto ma dotato di senso per evitare che ci attacchiamo troppo alla vita e perché non possa esistere su questo pianeta una qualche perfezione (anche la Sicilia ha la mafia e l’Australia i deserti, per dire).
se si potesse prescindere dagli acciacchi che avanzano silenziosi e a passo veloce, di per se stessa considerata, la vecchiaia mentale è l’età perfetta.
dite pure che è solo l’effetto di quel tanto di neuroni che se ne vanno a quel paese, di una diminuzione complessiva di efficienza cerebrale, e non della saggezza consentita dal ridimensionamento degli istinti e dalla somma delle esperienze compiute…
che qualcosa dovrebbero averci insegnato, no?, se non siamo proprio dei bischeri…
dite quel che volete, ma io già lo sospettavo guardando in passato certi atteggiamenti di chi era già vecchio quando non lo ero io: i vecchi sono felici, ma si vergognano della loro felicità e la tengono segreta.
è una felicità sempre più fragile e sempre più preziosa, una felicità inquinata dall’ansia di quanto potrà ancora durare, ma
è una felicità maggiore rivedere il sorgere del sole per la 30millesima volta che per la millesima volta soltanto,
è felicità vedere i figli che diventano padri e i nipoti che diventano ragazzi,
è felicità sapere che hai vissuto e imparato,
che ora sai stare al mondo,
che conosci i segreti e i limiti della vita,
che non ti racconti favole consolatorie,
che non credi a Provvidenza o Ragione, ma solo al nonsenso e alla sofferenza, ma tutto funziona bene lo stesso,
e tu sei in pace con te e un po’ meno in guerra con gli altri,
è felicità che puoi guardare una bella ragazza senza essere schiavo subito del bisogno di portartela a letto che ti urla dentro,
che sei un patriarca,
che la gente che ha passato gli anni migliori della tua giovinezza a darti contro, ti guarda ora col rispetto che si deve a chi è scampato alla morte tante volte e ha quella cosa misteriosa e affascinante che si chiama saggezza.
e tu scopri di colpo quanto sia superiore Buddha a Cristo, per il solo fatto di essere vissuto fino a ottant’anni ed essere morto in pace.
si diventa tanto più felici quanto più si diventa vecchi, credetemi, le malattie servono solo a toglierci di torno quando è il momento, ma la felicità non dipende da loro, sono solo il tormento necessario per arrivare alla felicità suprema che è quella del morire.
capisco che questa frase vi sembri un pugno nello stomaco, ma avendo provato a morire già varie volte nella mia vita, metto sempre a confronto l’annegamento mancato degli undici anni con l’arresto cardiaco del febbraio scorso.
parlo a ragion veduta: una morte cosciente come quella dell’annegato è il trionfo della felicità, una morte inconsapevole come quella dell’arresto cardiaco improvviso e non percepito è una fregatura.
se siamo sempre più felici quanto più ci avviciniamo alla morte è perché la morte stessa è felicità biologica pura.  
e il vecchio che lo sa, che lo ha capito, è felice non solo per la vita che ha alle spalle, ma anche per la morte che lo attende.



















28 ottobre 2013

Dialogare coi vecchi avanzati (387)

Dialogare coi vecchi avanzati. (387)
Mi piacerebbe farlo. Per sapere. Per imparare. Poi vedo degli anziani-anziani e mi scoraggio.
Spesso sono un poco sordi. A volte hanno poca memoria e, durante una conversazione, ripetono più volta uno stesso concetto. Altre, sono poco lucidi. Non capiscono. Oppure non parlano, rispondono a monosillabi.
È difficile parlare con i molto vecchi. 

Lo si vede quando si incontrano nonni e nipoti. Spesso i nipoti ridono dei vecchi o sorridono benevoli. Ma li considerano fuori dalle esperienze di vita.
Sembra quasi una regola che il dialogo si interrompa fra gli altri e l’ultima età.
Forse è un bene. Forse è necessario.
Incomincia il distacco. Se un vecchio non ragiona più bene, l’affetto degli altri si affievolisce. Anche il vecchio ama meno gli altri, quando perde capacità intellettive. Si approfondisce il distacco fra gli uni e gli altri.
Così, quando i vecchi muoiono, si soffre di meno.

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27 ottobre 2013

Fa la differenza? (386)

Fa la differenza? (386)
L’altra sera, ultima uscita coi cani, verso le ventitre. Guardando la mia cagna, che trotterellava, un poco incerta, qualche metro innanzi a me, mi si è stretto il cuore. Ho pensato a quando morirà (lei adesso è già vecchia). Ho pensato che, con la sua morte, tutto di lei finirà. Non solo il mio rapporto con lei. Anche ogni briciolo di sua esistenza.
Quando penso agli animali non penso mai a una loro vita futura. Come invece quando il mio pensiero si rivolge a esseri umani. Do per scontato che solo gli umani siano privilegiati. Ad avere una vita oltre la morte.
È questo che mi fa soffrire quando penso alla morte della mia cagna? È questo che fa la differenza? Che ci sia o non ci sia una vita futura?
Ma poi, è proprio così?
Se noi, esseri umani, una delle tante forme di esseri viventi, abbiamo una speranza di sopravvivere, perché non estenderla anche agli altri viventi?
Sarebbe logico. Ma varrebbe anche, che so, per una sardina, per un lombrico?
Di fronte a questo pensiero l’altra sera ho vacillato. Se nego una vita dopo la morte alla mia cagna, dovrei negarla anche a me.
Non so come cambierebbe la mia vita se mi convincessi che dopo la  morte non c’è nulla.
Penso  che la morte sarà una sorpresa. Conoscerò se dopo c’è qualcosa.
O il nulla.

Ma se non c'è nulla, non conoscerò nulla.                             

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26 ottobre 2013

Padre e figlio (385)

Padre e figlio. (385)
Ho visto un padre e un figlio camminare per strada. Il padre aveva un deambulatore (un sostegno con le ruote a cui appoggiarsi camminando). Il figlio era di mezza età. Vicino anche lui alla vecchiaia.
Chiacchieravano. Mi son chiesto che rapporto ci potrà essere fra padre e figlio, quando è il padre a esser debole. Ci sarà un’inversione di ruoli? Cioè il figlio accudirà il padre? Ma come sarà la comunicazione? Di che cosa parleranno?
Se ne vedono di genitori e figli entrambi vecchi. Anzi è quasi una costante che, quando il figlio entra nella vecchiaia, il padre entri nell’ultima vecchiaia.
In genere il rapporto è un rapporto di assistenza. Visite da fare, badanti da trovare, cose pratiche da sistemare. È un peccato, perché sarebbe un incontro generalizzato fra prima e ultima vecchiaia. Il figlio avrebbe molto da conoscere, da imparare. Il padre potrebbe diventare colui che anticipa al figlio l’età in cui sta per entrare. Preziosi consigli potrebbe dare.
Perché i vecchi giovani, non hanno scuole alle quali apprendere la vecchiaia.
L’unica scuola sarebbe quella fra padre e figlio.
Invece la sciupiamo sempre, schiacciati dal peso di dover accudire una persona molto anziana.                             

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25 ottobre 2013

Un vecchio collega (384)

Un vecchio collega. (384)
Ho rivisto ieri un collega di lavoro, che ha smesso di lavorare a giugno. Aveva 80 anni. Portati benissimo.
Gli ho chiesto se era pentito di aver lasciato il lavoro. Risposta: “Non ho più tanto tempo. Ci sono i nipoti da badare. Visite mediche da fare. Mi resta poco tempo. Prima venivo a lavorare per passare il tempo. Adesso tempo ne ho meno. Il lavoro non mi manca.”
Passare il tempo. Far passare il tempo. È un leit-motive degli anziani. Ecco allora i solitari, le bocce, le parole incrociate, le partite a carte di molti vecchi.
E’ un contro-senso. Da una parte noi vecchi ci lamentiamo che ci resta poco tempo da vivere. Dall’altra ci mettiamo alla ricerca di come passare il tempo. Ne abbiamo poco, ma non sappiamo come farlo passare. È che, da vecchi, abbiamo pochi grandi progetti. Che ci assorbirebbero completamente. Allora cerchiamo piccole cose. Progetti brevi. Ci impegnano poco. Sono poco onerosi. Ma lasciano tanto tempo libero. Che non sappiamo come impiegare.
È il tempo libero che ci rovina la vita.
La realtà è che non sappiamo vivere.
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24 ottobre 2013

Cose da vecchi (383)

Cose da vecchi. (383)
Mi stavo avvicinando all’auto coi miei cani, per andare al parco. Passando nei pressi di una casetta, ho intravisto un vecchio seduto in giardino. Sicuramente più che ottantenne. Non lo conoscevo, pur conoscendo gli altri abitanti della casa. Gli ho dato le spalle per far entrare i cani in auto. Ho sentito che diceva qualcosa, ma ero distante. Non ho udito le parole. Facendo manovra con l’auto sono ripassato davanti alla casetta. L’ho visto in piedi. Mi ha guardato: ha fatto un gesto con le mani unite. Ambiguo. Pareva un gesto di congratulazioni. Come dire: vittoria, complimenti …  Ma si poteva interpretare come: “Guarda che cosa mi tocca vedere! Addirittura tre cani!”
I molto vecchi sono così. Fuori misura. Fanno commenti a sproposito, anche con perfetti sconosciuti. Non si contengono. Sono indiscreti.
Forse sono semplicemente più spontanei. Dicono quel che gli passa per la mente senza chiedersi se sia opportuno. Un po’ bambini insomma.
Lo sarò anch’io, più avanti.
Meglio guardare questi comportamenti con tenerezza, piuttosto che con meraviglia. 

O con disprezzo.                               

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23 ottobre 2013

Orizzonti ristretti (382)

Orizzonti ristretti. (382)
In città, viviamo tra i palazzi. Se guardiamo l’orizzonte, vediamo case. Molto vicine, per giunta. Fuori città, l’orizzonte si amplia. In montagna poi, l’orizzonte è sconfinato. Letteralmente senza confini.   
Ai confini ristretti ci abituiamo. Ma i confini ampli li amiamo.
Nella vita c’è qualcosa di simile. Amiamo gli orizzonti illimitati della giovinezza. Danno un senso di libertà assoluta. Danno vertigine. Mentre in vecchiaia l’orizzonte si chiude. Lo vediamo vicino. Sappiamo che dobbiamo arrivare lì. E quel lì è vicino. Troppo vicino.
L’orizzonte ristretto ci condiziona. Viviamo in altro modo, con un confine così prossimo. Ancora una volta ne esce il dono di Prometeo: la capacità di non vedere il termine della vita. Per poter continuare a vivere.
Per assurdo, se si vuole vivere pienamente, bisogna eliminare la morte dalla nostra visuale.
Dobbiamo avere un orizzonte sgombro da confini prossimi. Confini che non possiamo varcare.
Come in montagna, in zone prossime al confine di Stato: lo sguardo si perde in lontananza, e ne siamo felici, anche se di mezzo c’è un confine invalicabile. Semplicemente lo ignoriamo.

È un pensiero diverso, da quanto ho sostenuto nel primo anno di blog.                                

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22 ottobre 2013

Coppie disuguali (381)

Coppie disuguali. (381)
“Vecchio, siediti.” Questa la frase rivolta da una signora al proprio marito, al bar. Effettivamente la signora era tutta pimpante, mentre il marito sembrava lento e poco presente. Vecchi tutti e due. Ma lui più vecchio, insomma.
In una coppia fra uomo e donna, da vecchi, c’è sempre uno squilibrio. Spesso la donna è un po’ più giovane. O semplicemente è una donna. Più spigliata, più abituata a svolgere mansioni molteplici. Più aderente alla vita.
Nelle coppie di anziani, fra maschio e femmina, c’è sempre una disuguaglianza.
La donna invecchia meglio.
In vecchiaia continua a avere un ruolo (coi nipoti per esempio). Sembra meno colpita da lentezza, smemoratezza, assenza. Riesce ancora a far fronte alle difficoltà della vita. In genere si cura maggiormente. Non si lascia andare.
Il fatto è che non si arriva alla vecchiaia piena insieme. C’è chi ci arriva prima e chi dopo.
Ma quasi sempre noi maschi ci arriviamo prima.

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21 ottobre 2013

Giocatori d'azzardo (380)

Giocatori d’azzardo. (380) 
Se ne vedono di vecchi che acquistano e raschiano i Gratta e vinci. Come si vedevano un tempo vecchi che puntavano al Lotto. Oggi nelle sale Bingo se ne trovano molti che giocano alla tradizionale Tombola (snaturata dalla versione moderna offerta da quelle sale).
Vecchiaia e scommesse vanno d’accordo. I vecchi giocano d’azzardo. Perché? Sperano di vincere qualcosa per migliorare la propria situazione economica (altre occasioni economiche la società non offre).
Ma non è solo questo. Anzi è il meno.
È che l’azzardo è un’occasione per creare una tensione. E la tensione è vita.
Questa tensione la puoi ricreare decine di volte. Continuando a giocare cartelle di numeri (nelle nuove sale i numeri vengono chiamati ogni tre-quattro minuti!). Lo stesso giocando a carte. O facendo solitari.
I vecchi si creano delle tensioni. Non importa se fittizie (si tratta di giochi). Scorre adrenalina nelle vene. Ti senti vivo. La vita diventa interessante. Non importa se perdi.
Quello che conta è l’accumulo di tensione.
Un modo per crearsi interessi.

Per continuare a vivere.

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20 ottobre 2013

Buongustai (379)

Buongustai. (379)
Il supermercato vicino a casa, da qualche tempo, offre un servizio in più. Sforna pane e brioche a tutte le ore. Bel servizio, perché non c’è nulla di più appetitoso del pane fresco e caldo. Passandogli davanti, non è raro vedere clienti che sbocconcellano prodotti da forno appena acquistati. Sono soprattutto giovani. Spesso extra-comunitari. All’inizio compravo anch’io un po’ di pane fresco. Pian piano ho smesso di farlo. Non solo perché dopo poche ore quel pane, inizialmente fragrante, diventava gommoso e insipido. Anche perché a lungo andare entrando nel supermercato quel profumo di pane fresco ha rivelato anche un odore meno gradevole. Quasi d’alcol.
Sono vecchio. Me ne sono accorto. Non lo compro più. Non così i giovani (e altri meno giovani).
Non sono mai stato un gran buongustaio. Ma invecchiando sono andato sempre più alla ricerca di gusti semplici, puliti, eccellenti. Una torta mediocre di solito viene mascherata da zucchero, cioccolato, panna, creme. Resta sempre una torta mediocre. Non mi attira. Anzi mi respinge.
Noi vecchi con l’età perdiamo parte dei sensi. Eppure è raro vedere un vecchio che rinuncia a mangiare, che mangia poco. Anzi, anche prima di morire gli anziani si dimostrano delle buone forchette. Sembrano non accorgersi della scarsa qualità del cibo che gli viene proposto.
Io no. E, forse, come me, altri anziani. Con l’età ci siamo affinati. Pretendiamo di più.
Del resto, abbiamo vissuto molto. Abbiamo mangiato molto. Possiamo fare confronti fra il cibo d’oggi e quello genuino che abbiamo assaggiato in alcune età o in alcune occasioni.
Da giovani qualunque pizza ci andava bene. Da vecchi non ce ne va più bene nessuna.
Vecchi esigenti, siamo diventati.

Almeno in fatto di cibo.

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19 ottobre 2013

Farci l'abitudine? (378)

Farci l’abitudine? (378)
E’ quasi un anno da che mi sono venuti. Parlo dei miei dolori cervicali. All’inizio erano molto forti. Li ho trattati con pomate e cerotti alle erbe. Son passati un po’, ma non sono cessati. Ho provato poi con una dieta rigida. Miglioramenti, nessuno. Ho scoperto che in caso di stress, il dolore si faceva più acuto. Ho anche provato con una ginnastica per il collo.
Insomma, dopo un anno ce li ho ancora. Me ne occupo meno, adesso. Sono diminuiti rispetto alle fasi più acute. Mi ci sono abituato.
Ci convivo.
Succede spesso ai vecchi. Viene un dolore che non va più via. Allora ti rassegni a tenertelo. Sopporti di provarlo ogni giorno. Sopporti che ti dia delle limitazioni. Per esempio i miei dolori mi limitano la possibilità di girare la testa. Faccenda seria, se viaggi in automobile.
I dolori, i vecchi se li tengono.
Ci fanno l’abitudine. Perché i medici sono rassegnati anche loro. Dicono che è la vecchiaia. Allargano le braccia.
E invece no. Non voglio rassegnarmi. Voglio cercare ancora.
È possibile che non ci sia rimedio?

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18 ottobre 2013

Per anziani (377)

Per anziani. (377)
“Centro diurno per anziani”, ho letto sul portone di un palazzo. Che cosa sarà?
Non può essere una casa di riposo, perché ci si sta soltanto di giorno.
Non è un day hospital, perché non sembrava una centro medico.
Mi sono figurato che sia una struttura di accoglienza per anziani poco auto-sufficienti.
Di giorno nessuno li può accudire, perché i familiari lavorano. Pertanto sono alloggiati in una struttura in cui ricevono assistenza. Ricevono i pasti, qualche trattamento medico o infermieristico, un po’ di compagnia. Una specie di asilo per vecchi, invece che per bambini.
Invece di stare a casa da soli, sono prelevati dall’asilo di mattina presto e riaccompagnati a casa la sera. Per tornare in famiglia.
Se un centro così c’è davvero, mi sembra una cosa buona. Spero solo che sia integrata da qualche attività interessante, tipo: musica, lettura e commento di giornali, racconto dei propri ricordi. Che non sia la solita televisione, a farla da padrone.
Mi piace, se è un centro in cui gli anziani stanno con altri anziani. Si confrontano. Possono aiutarsi.
Mi voglio informare.
Sono curioso.

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17 ottobre 2013

Per quanto tempo? (376)

Per quanto tempo? (376)
In condominio ci sono due famiglie con lo stesso cognome. Una è una coppia di anziani di terza fascia, ottantacinquenni. A volte il postino fa confusione. Stamane ho visto che al cognome della cassetta delle lettere, i miei vicini anziani hanno aggiunto il nome di lui. Così il postino non si può sbagliare.
Il nome è stato aggiunto a penna. In modo sbrigativo. Poco curato. Il nome sbiadirà nel giro di pochi mesi. Un lavoro fatto male, mi sono detto. Poi ho riflettuto. Alla loro età si è ancora interessati a far lavori per bene? Lavori che durino nel tempo?
Quando la speranza di vita scende sotto i dieci/venti anni o addirittura sotto i cinque, qualcosa cambia. Si perde l’interesse per progetti a lungo termine, proprio perché il termine … non è più lungo.
Si perde anche interesse perché qualcosa duri nel tempo. Si conservi per anni. 

Si finisce prima, dunque che scopo abbiamo per ipotecare gli anni futuri in cui non ci saremo più?
Quando ero giovane frequentavo dei gruppi di spiritualità laica che si rifacevano al movimento della new age americana. Una delle indicazioni che emersero fu la seguente: “Vivi come se fra sei mesi dovessi morire.” Allora era quasi un gioco psicologico.
Dopo una certa età è assoluta verità.

Per quanto tempo, dunque, devono durare le cose che facciamo?

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15 ottobre 2013

Radon (375)

Radon. (375)
Mia figlia ha comprato casa, di recente. Una bella casa, fatta con materiali innovativi. Materiali certificati per l’assenza di radiazioni.
Radiazioni? Sì, radiazioni ionizzanti. Ci siamo informati. Sono radiazioni che provengono dal sottosuolo. Causate da un gas chiamato radon. Radiazioni pericolose. Provocano il cancro. Sono la seconda causa di morte per tumore al polmone, dopo il fumo. Sono presenti dappertutto. In qualche zona di più, in altre di meno.
La regione dove abito ha fatto un’indagine su tutto il territorio. Ha scoperto le zone in cui ve ne sono di più. Soprattutto zone che hanno un sottosuolo di origine vulcanica. La pianura ne ha poche. Alcune colline e montagne di più.
Sembra che non ci sia da scherzare. I morti per radon (causati direttamente dal radon) nella mia regione sono alcune centinaia all‘anno, su una popolazione di quattro milioni di abitanti.
Il dato più significativo è che il radon si accumula soprattutto in cantine, garage, seminterrati, taverne. Insomma primi piani delle case, o piani sottoterra.
Mi è venuto in mente che spesso noi anziani facciamo piccoli lavori proprio in cantina o garage.
E’ pericoloso. Si tratta di radiazioni nucleari. Gli atomi che le emettono si fissano nei polmoni e fanno danno. Se uno fuma, il pericolo è moltiplicato per dieci.
Che fare?
Bisognerebbe fare delle misure. Ma è complicato. Allora, precauzione.
Se si sta del tempo in cantina bisogna aerare molto. Non bisogna dormire nelle taverne o nei seminterrati. Anche i primi piani vanno aerati di frequente.
Soprattutto bisogna smettere di fumare.

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14 ottobre 2013

Domande (374)

Domande. (374)
Un vicino di casa, anziano, è morto in questi giorni. Ne ho visto la locandina funebre affissa a un palo della luce. Probabilmente viveva in una casa di riposo, perché non lo vedevo più da tempo. Le ultime volte che l’ho incontrato era molto pallido e si muoveva a fatica. Un crollo, rispetto alla sua vivacità di un tempo. 

Aveva 78 anni. Relativamente giovane. Comunque non vecchissimo. Non è stata una morte prematura. Morire a ottant’anni (circa) ci sta. Nessuno si scandalizza.
Mi son fatto una domanda: perché c’è chi muore a settanta e chi a novanta? Vent’anni in più non sono pochi. Certo, la genetica. Ognuno ha il suo patrimonio genetico che lo fa finire prima o dopo. Ma vent’anni in più o in meno sono tanti.
Allora? Le malattie? Probabilmente sì.
In un vecchio malattie e vecchiaia si confondono. Cioè si dà per scontato che le malattie siano la normalità della vecchiaia. Per cui uno può morire di vecchiaia o di malattie. È lo stesso.
È proprio così? Un corpo vecchio, penso, ha meno difese. Le malattie lo aggrediscono  di più.
È vero?
Ho un’altra idea, invece. La genetica conta. Ma lo stile di vita conta. Per stile di vita intendo tutto quello che facciamo entrare nel corpo e lo intossica. Per esempio, l’alcol. Per esempio, il fumo.
O il cibo. O le radiazioni del telefono cellulare.
Dovremmo essere molto più cauti con le nostre abitudini, visto che da vecchi le difese sono ridotte. Proprio perché in vecchiaia le difese si riducono, dovremmo ridurre di conseguenza le intossicazioni.

Lo stile di vita conta molto, per una vecchiaia sana.

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13 ottobre 2013

Carezze (373)

Carezze. (373) 
“Non ci accarezziamo più.” Costatazione di mia moglie. Forse anche rimprovero. Ha ragione. Me l’ero già detto da solo (vedi n. 131 e 211). Anzi mi ero raccomandato di non far mai mancare questo aspetto nella vita di coppia. E invece non ho più fatto niente. C’è la stanchezza serale, c’è che di mattino mi alzo presto, c’è che gli ormoni sono molto calati. Scuse. So che è necessario. E non lo faccio. L’intimità è importante. Le carezze ne sono il mezzo. L’accordo nei pensieri, le convergenze nei valori sono fondamentali, fra coniugi vecchi. Ma manca qualcosa. Il fisico. Il corpo. Siamo anche corpo. Soprattutto nelle fasi iniziali della vecchiaia. In età molto avanzata forse non sarà più così. Non so. Certo che alla mia età (67 anni) il corpo c’è ancora. E va rispettato.
Bisogna programmare, se la spontaneità non è aiutata dal desiderio. Bisogna impegnarsi un poco.
È il minimo, per l’affetto che c’è stato e che c’è con la nostra compagna di una vita.
Lo dobbiamo anche a noi stessi.

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12 ottobre 2013

Vecchi professori (372)

Vecchi professori. (372)
I giovani chiamano vecchi professori, quelli degli anni precedenti. Non c’entra la vecchiaia. C’entra che sono passati (altra classe, altra scuola).
A volte ne incontro qualcuno, dei miei vecchi insegnanti. Sono vecchio io, sono vecchissimi loro. Li guardo e vedo solo immagini di vecchiaia avanzata. 
A un incontro pubblico ne ho rivisto uno, che era stato molto severo con me. Ho anche fatto una domanda al relatore, che l’ha girata al mio vecchio professore. Ha risposto. E ha sbagliato. O meglio non sapeva rispondere. Non ho visto in lui severità, autorità, serio cipiglio. Tutto quello che da ragazzo me lo faceva temere. Ho visto fragilità, inclinazione a sbagliare, debolezza.
Sarebbe bene saperlo, durante la mezza età. Che si perde tutto, qualche decennio più tardi.
Da vecchi si perdono tutte le sovrastrutture. Chi si ostina a mantenerle, appare ridicolo.
La vecchiaia ci spoglia di tutto quello (di esteriore) che ci siamo costruiti in anni e anni di vita. Ci toglie la divisa.
Da vecchi restiamo nudi.
Soli con la nostra umanità.

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11 ottobre 2013

Cose da fare (371)

Cose da fare. (371)
Ho alle spalle almeno 50-60 anni di vita consapevole. 

Ricordo bene certe sensazioni della mia gioventù. Per esempio il senso di leggero smarrimento, di vuoto, che mi prendeva alla fine di un anno scolastico. O dopo un esame. 
Non avevo più niente da fare. Mi riposavo, sì, ma la mancanza di progetti mi dava malessere. Mi sembrava che il futuro fosse deserto.
Ci sono momenti, da vecchio, in cui mi sembra di rivivere quelle sensazioni. È quando non ho qualcosa da fare. Certo, mi posso inventare un lavoro qualsiasi, o una lettura, o una musica. Ma è diverso. Quando non ho progetti da realizzare, mi sento vuoto. Possono essere cose semplicissime, banali, da dover fare. Anche soltanto fare la spesa. Eppure mi bastano.
I micro-progetti mi tengono occupato. Mi fanno vivere.
Mi viene in mente il mito di Prometeo (vedi n. 151 e 152). Il dono che fece agli uomini era quello di distogliere la loro mente dal pensiero della morte. Mi sembra che sia questo il significato del bisogno di fare qualcosa. Mi faccio assorbire da un progetto  e non penso ad altro. Eppure non è che il malessere mi derivi dal pensiero della morte. Mi deriva piuttosto dal non essere occupato. Dal non fare. Identifico il mio vivere col fare. Se non faccio sto male, cado in depressione.
Non c’entra la morte.
C’entra la mia idea di vita.
Tutto ciò ha a che fare con la vecchiaia?

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10 ottobre 2013

Farlo bene (370)

Farlo bene. (370)
Ieri sera, tornando dal parco coi cani, pensavo a quello che mi sarebbe piaciuto fare. Per esempio mettermi al computer e scrive una pagina di questo diario. O cominciare a leggere un nuovo libro. Poi mi sono ricordato di dover dare l’erba alla gatta. Ancora, c’era da sistemare il lavandino di cucina che era intasato. E preparare qualcosa per cena per mia moglie che stava lavorando. Insomma avevo molte cose da fare prima di fare ciò che mi piaceva fare. 

È allora che ho pensato: “Falle bene!”  Cioè: non considerarle impedimenti a ciò che ti piacerebbe fare. Non essere concentrato su quello che farai dopo. Sii concentrato su quello che stai facendo. Fallo bene.
Fare bene significa essere pienamente presenti. Non essere altrove con la testa. Stare lì dove si sta facendo qualcosa.
Fa parte dei compiti della vecchiaia. Fare bene quello che si fa. Non importa che cosa. Ma farlo bene. È il modo per dare importanza ai nostri minuti, alle nostre ore.
Al  tempo che ci resta.


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08 ottobre 2013

Sono curioso (369)

Sono curioso. (369)
Come tutti, ho conosciuto molta gente, nella mia vita. La maggior parte l’ho persa di vista. Saltuariamente re-incontro alcune persone che non vedo da vent’anni o più. Allora li osservo.
Di loro conservo l’immagine di gioventù, nella mia mente. Dell’età cioè in cui ci siamo conosciuti.
Mi stupisco quando vedo forti segnali di vecchiaia sui loro volti, nei loro corpi. Gli stessi che mostro io. Anche loro si stupiranno di me.
Sono curioso di vedere la vecchiaia in loro. Non per compiacermi (non per consolarmi, dicendomi: mal comune mezzo gaudio). Non per fare confronti. Bensì per sapere come invecchiano. È suggestivo rivedere in faccia quelle persone con cui hai giocato da bambino.
Per sapere come stanno affrontando la nuova vita. Perché conosco la mia di vecchiaia. Ma ci sono tantissime vecchiaie diverse. La loro conoscenza mi aprirebbe nuove prospettive. Mi fornirebbe nuove idee.
È come se ci fossimo messi tutti in un nuovo viaggio, avventuroso, difficile, che mette alla prova le nostre persone. Ritrovarsi insieme è di conforto.
Andiamo tutti verso un’unica meta.

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07 ottobre 2013

I dolori dei vecchi (368)

I dolori dei vecchi. (368)
Vecchiaia e dolori fisici vanno a braccetto. Non c’è vecchio che non ne abbia più d’uno.
E noi vecchi amiamo parlarne. A lungo. Con altri vecchi. Per confrontarli. Per raccontarci.
Da vecchi diventiamo i nostri dolori.
Dolori alle gambe, alle braccia, alle mani. Dolori di schiena, dolori ai piedi, alle spalle.  Dolori cervicali; dolori a varie articolazioni: anche, ginocchia, gomiti, polsi. Non c’è zona del corpo che non sia sede di qualche fastidio doloroso.
Le articolazioni si logorano, i muscoli si logorano, le vertebre, le cartilagini … A volte sembra che si logorino troppo presto. Ci sono vecchi che già a sessant’anni hanno dolori cronici. In questi casi ho il sospetto che il modo di vivere abbia avuto il suo peso.
Il dolore fisico cronico e incurabile sembra proprio sinonimo di vecchiaia.
Qual è il senso? C’è un senso?
In astratto potrei dire che il dolore mi rende cosciente del mio corpo. Da giovani il corpo non lo vediamo. Siamo tutt’uno con lui. Compenetrati. Impossibile vederlo.

Il risultato è che lo trascuriamo.
Da vecchi siamo più distaccati dal corpo. C’è separazione. Il corpo non ci segue più. 

Resta  indietro. Possiamo girarci a guardarlo.
I dolori hanno questo significato: renderci coscienti del corpo dimenticato.

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06 ottobre 2013

Non è giusto (367)

Non è giusto. (367) 
Ho litigato. Con mia moglie. Perché ho bisogno di molto tempo, anche per quel poco di lavoro che sto facendo. Come mi è capitato altre volte, ho deciso di lasciarlo. Non subito, perché ormai ho preso un impegno. Fra qualche mese.
Dipenderà dal carattere. Durante la mia vita mi è capitato di lasciare anche cose alle quali tenevo. Adesso da vecchio mi si ripresenta lo stesso quadro. Sono tentato di lasciare, di fronte a difficoltà (profonde, però).
Sto ripensando a questo, in queste ore. E mi sembra sbagliato.
Un vecchio, proprio perché la sua vita sta finendo, è più disposto a lasciare. Ha meno spinta interiore ad attaccarsi a un progetto. Ma è sbagliato. Per dignità. Per il valore da dare ai giorni che restano.
Se si lascia, i giorni futuri valgono poco. Hanno il sapore della rassegnazione. Mentre dovrebbero essere momenti di lotta. Non irragionevole, no. Non sto dicendo di voler guidare l’auto anche se non ci vedessi più per la vecchiaia. Ma una lotta equa, sì. Per ciò che è ancora possibile. Contro quel lassismo che ti prende da dentro e ti fa rinunciare.
Dare dignità anche agli ultimi anni.
Non morire anzitempo.
Morire da vivi e non da moribondi.

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04 ottobre 2013

Si cambia (366)

Si cambia. (366) 
Un conoscente, anziano. I figli si lamentano perché, dopo la separazione dalla moglie, è peggiorato. Meno comprensivo, meno comunicativo. Meno intelligente, se possibile. Si è messo a vivere una vita più elementare. I figli suggeriscono che in realtà questa è la vita che avrebbe sempre voluto fare. Era cambiato durante gli anni di matrimonio, perché la moglie lo aveva trascinato verso un livello superiore. Adesso è tornato quello che era. Quello che è sempre stato. Non ha voluto cambiare.
Io a quarant’anni dicevo che avevo fatto molto, in fatto di cambiamenti. Dicevo che volevo riposarmi. E fermarmi a vivere secondo la vita di quegli anni. Senza più cambiare.
Che ingenuità! Mi figuravo davvero che la vita fosse ripetizione di cose già viste, stasi,  immobilità. Senza più mutamenti.
Un quarantenne di mia conoscenza ha appena avuto un figlio. Anche lui si dibatte perché non vuole cambiar vita, rispetto a prima. Non ha capito che ci sono altri livelli da percorrere.
Che la vita sia cambiamento te lo dicono innumerevoli fatti, vicende, situazioni.
E’ così.
Se proprio non l’hai capito prima, quando entri nella vecchiaia diventa evidente.
La vecchiaia è l’ultima occasione per capirlo. 

Se non altro perché intravedi la vicinanza del cambiamento più grande. La morte.
La vecchiaia è l’ultima occasione per capire.

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03 ottobre 2013

Serenità (365)

Serenità. (365)
Mi lamento degli insuccessi. Vorrei che tutto andasse secondo le mie aspettative. Parlo, per esempio, della mia incapacità di migliorare la prostata. E di altri fallimenti.
Mi comporto da giovane, o da uomo di mezza età. I quali credono ancora che tutto andrà per il verso giusto, senza insuccessi. E si batteranno allo stremo, perché avvenga così.
E invece io sono vecchio. So cosa mi aspetta fra qualche anno. Debolezza, invalidità, morte.
Cose reali e certe.
Mi devo abituare alla perdita. Perché perdere sarà l’orizzonte prossimo della mia vita.
Con questa certezza, potrei vivere in serenità.
Nei prossimi anni in gioco non ci sarà perdere o vincere. Bensì l’atteggiamento con cui vivrò le situazioni. Questo mi si chiede. Questo mi chiede la vecchiaia.
In un certo senso, alla vecchiaia si applica la famosa frase di De Coubertin: non importa perdere o vincere, ma partecipare.
Esserci.
In vecchiaia cambia tutto. Ti si chiedono cose diverse da quelle chieste nelle età precedenti.
La vecchiaia non sarà una stanca ripetizione di altre età.
La vita ti stupirà.
Vecchio, sta’ sereno!

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02 ottobre 2013

Vecchi noiosi (364)

Vecchi noiosi. (364) 
I vecchi sono noiosi. Ieri mattina al solito parco un vecchio col bastone attacca bottone con noi padroni di cani. Prima, per dire che aveva tre cani anche lui e che un vicino glieli aveva avvelenati. Poi parlando del vicino, delle sue altre angherie, per tornare indietro nel tempo fino alla seconda guerra mondiale. Raccontando com’era la sua strada cinquant’anni fa, come il Comune gli aveva fatto interrare un fosso, di come si era costruito un capannone che poi suo figlio aveva migliorato, creandosi un appartamento sopra il capannone, dove abita tuttora, eccetera, eccetera … Una noia mortale. Non avevo tempo. Ho tagliato corto e me ne sono andato. Se no, sarei rimasto per vedere dove voleva arrivare. Per vedere se lui si stancava e mi mollava.
Un’altra padrona di cani, svignatasi prima di me, mi raccontava poi che lo stesso le era capitato con un vicino anziano, con cui aveva labili contatti, molto sporadici. Un giorno la fermò e con calore le raccontò un pezzo lunghissimo della sua vita, che lei ascoltò per educazione. Quando poi, settimane dopo, lo reincontrò, quel vecchio la salutò appena, come se quel momento di confidenza non ci fosse stato, come se  si fosse completamente dimenticato, o, peggio, come se non avesse parlato a lei in modo specifico, ma avesse parlato tanto per parlare: un interlocutore valeva l’altro.
Dobbiamo stare attenti, noi vecchi. Siamo pesanti, se ci lasciamo andare. Soprattutto siamo pesanti se raccontiamo a qualcuno, ma non c’importa chi sia.
Ci basta che qualcuno ci stia ad ascoltare.
Chiunque esso sia.

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01 ottobre 2013

Vecchi (363)

Vecchi. (363) 
Mi sorprendo a osservare gli anziani avanzati. Mi incuriosiscono. Cerco di carpire loro qualcosa dell’età nella quale entrerò fra qualche anno. La temo e perciò cerco di conoscerla prima.
Per questo osservo con attenzione il loro aspetto.
Spesso sono pallidi. Segno che c’è poca circolazione sanguigna. Evitano qualunque sforzo, si muovono poco, il cuore pompa poco.
Hanno lo sguardo fisso. Sono poco mobili nel cambiare l’oggetto dei loro sguardi. E così, se ti guardano, sembrano farlo con insistenza, per analizzarti bene. In realtà è solo lentezza. Ci vuole più tempo per dare anche una semplice occhiata.
Paiono straniati. Estranei al mondo che li circonda. Distratti. Come se non fossero pienamente presenti. Sembra che non facciano più parte del mondo in cui vivono.
Son un po’ di qua e un po’ di là.
Sono prossimi all’ uscita. Alla morte.
E’ giusto che il loro aspetto sia questo.

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