31 luglio 2014

Denaro (14-151)

Denaro. (14-151)
Mi sono arrivate due cartelle di Equitalia, l'agenzia di riscossione italiana di tasse, tributi, ammende, multe. Una bella botta. Soprattutto perchè la mia economia è in equilibrio precario. Basta poco per andare sotto.
Mi sono stupito della mia reazione. Nessun dramma, nessuna angoscia. Ma ricerca tranquilla di come trovare il denaro per pagarle.
Un tempo queste cose mi destabilizzavano. Minavano la mia sicurezza. Vedevo nero.
Oggi che sono vecchio la cosa non mi sconvolge tanto. In fondo si tratta solo di denaro.
A confronto con le invalidità possibili della vecchiaia, con le malattie della vecchiaia e con la morte, due cartelle sono poca cosa.
Il denaro mi interessa poco. Quello che desidero, non si ottiene col denaro ( o si ottiene con poco denaro).
I vecchi di fronte al denaro hanno due atteggiamenti.
C'è chi vi si attacca, facendone la fonte della propria sicurezza, diventando avaro.
E c'è chi se ne distacca completamente.
Non so che cosa faccia propendere per un atteggiamento o per l'altro.
La vita precedente? Il bisogno di sicurezza? Un io forte o fragile? Non so.
Certo è che per vivere bene la vecchiaia c'è bisogno di una gran forza d'animo.
E pochi ce l'hanno.
Allora ci si attacca a qualunque cosa ci dia sicurezza.
E il denaro è una di queste.
Ma serve proprio a poco.

(L’indice per argomenti del 2013 si trova a pagina 442; quello del 2012 a pagina 107. La sintesi del 2012 si trova alla pagina 14-41.)
(per comunicazioni private: holgar.pd@gmail.com )

30 luglio 2014

Sono diventato lento (14-150)

Sono diventato lento. (14-150)
Più volte ho scritto della lentezza di noi vecchi.
La lentezza fa intimamente parte della vecchiaia.
Ma non solo come limitazione.
È vero che siamo lenti nei movimenti. Lenti nei riflessi. Lenti nelle decisioni.
Ma la nostra lentezza generale favorisce la riflessione. Dato che stentiamo a muoverci, ci prendiamo più tempo, anche per riflettere.
Come quando per strada due vecchi parlano fra loro. Ogni tanto si fermano per continuare la discussione guardandosi negli occhi.
Per un verso si fermano per riposarsi. Per un altro si fermano per concentrarsi.
Così per la lentezza. Visto che siamo diventati più lenti, tanto vale prendersi del tempo ulteriore per valutare attentamente i pro e i contro.
E questo è un valore positivo.
C'è dell'altro.
La lentezza ci permette di assaporare maggiormente la vita.
Non è più il tempo del fast food. È il tempo dello slow food.
La vecchiaia (finalmente!) è il tempo della slow life, della vita lenta.
Basta frenesia, ansie, fretta.
Noi vecchi viviamo con un ritmo più rilassato.
Più umano.
E questo è un valore positivo.

(L’indice per argomenti del 2013 si trova a pagina 442; quello del 2012 a pagina 107. La sintesi del 2012 si trova alla pagina 14-41.)
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29 luglio 2014

Fare (14-149)

Fare. (14-149)
Quanto da giovane ero refrattario a tutte le aggiustature da fare in casa (e al bricolage), 
tanto da vecchio ci ho preso gusto.
Non è che vada proprio a cercarmeli, ma se si presentano lavori e lavoretti, li faccio senza tante storie. Senza quel fastidio che provavo un tempo. Anzi, quasi con piacere.
Evoluzione? Forse. Ma c'è un'altra ragione.
Il fare dà significato al vivere. Soprattutto nei vecchi.
Non è soddisfazione per le cose fatte. È oblio della morte incombente.
Ecco allora che far qualcosa è molto appagante.
Non è la cosa in sé, che ci procura piacere. Quanto l'esser stati occupati. Aver la mente concentrata altrove, invece che sulla nostra fine. E poi essere stati attivi, vitali. 
Vivi.
Non è importante quel che si fa, quanto il fare.
Anche cose banali, da vecchi le si fa volentieri.
Anche il semplice e noioso far la spesa.
Qualunque cosa si faccia, la vita fluisce.

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28 luglio 2014

Vivere: quanto? (14-148)

Vivere: quanto? (14-148)
I miei due cani vecchi arrancano. Almeno da qualche mese salgono le scale a fatica, non riescono più a salire in auto, invece di correre, si limitano a camminare.
Sono invecchiati. Hanno diminuito le loro possibilità.
Io non mi rassegno. Vorrei vederli ancora gagliardi come erano da giovani. Così ho deciso di dar loro degli anti-ossidanti. Gli stessi che prendo io. La curcuma, per esempio.
Nel pasto che do loro di mattina, aggiungo una punta di cucchiaino di curcuma. A me fa un gran bene. Spero che lo faccia anche a loro.
I vecchi quando arrivano alla vecchiaia hanno un primo obbiettivo: durare più a lungo possibile (J. Hillman – La forza del carattere). Sembra che nessun vecchio sfugga a questo impulso primordiale.
A onta di tutte le mie affermazioni, anch'io sto diventando preda di tale spinta vitale. Tutto ciò che faccio va in quella direzione. Lo nego, ma è così.
È più limpido se lo applico ai miei cani. Vorrei che vivessero a lungo. Sono addolorato al pensiero che fra due o tre anni moriranno.
Così faccio di tutto per farli sopravvivere.
Lo stesso lo faccio per me.

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27 luglio 2014

Finire (14-147)

Finire. (14-147)
Nella pagina precedente citavo una trasmissione televisiva su Tiziano Terzani. 
Il figlio di Terzani ricordava che suo padre, conosciuta la sua malattia mortale, aveva passato un lungo periodo in India, avendo solo rapporti con un vecchio saggio indiano. Dopo la morte di Terzani il figlio era andato a coscere l'indiano. Nell'intervista ricordava che successivamente anch'egli era morto:”Quando pensò che la sua fine fosse giunta, smise di mangiare e morì.”
Alcuni anni fa in un'altra trasmissione si intervistava una suora indiana che assisteva degli anziani, prima della loro morte. La suora viveva in una struttura che accoglieva anziani moribondi. Alcuni di questi avevano deciso di por fine alla loro vita, smettendo di mangiare.
È evidente che in India c'è una lunga tradizione. Chi non vuol più vivere può farlo.
Nel modo più semplice possibile: smettendo di alimentarsi.
Se penso a come ci comportiamo in occidente, la distanza è enorme.
Mi viene in mente la pratica aberrante dell'alimentazione forzata attraverso un sondino gastrico, che si pratica costantemente in ospedali e case di riposo. Quando un anziano non riesce più a deglutire, invece di prendere questa perdita come un segnale che la fine è arrivata, si costringe il povero vecchio a vivere ancora, col sondino.
Anche tutta la discussione (etica, medica, giuridica) che c'è in occidente sull'eutanasia, è poca cosa rispetto alla pratica indiana di smettere semplicemente di mangiare.
Non è la stessa cosa , lo capisco.
Ma che differenza fra una pratica naturale e la sofisticata tecnologia occidentale!

Una domanda: che coraggio si deve avere per smettere di mangiare?

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25 luglio 2014

Farcela (14-146)

Farcela. (14-146)
L'altra sera ho visto in tv una trasmissione su Tiziano Terzani. Giornalista italiano, morto recentemente. Noto per i suoi servizi sull'Oriente.
E per il suo modo non convenzionale di affrontare malattia e morte.
Quando si rese conto di essere ammalato di cancro, si ritirò in solitudine sull'Himalaia. In realtà viveva in una casetta vicino a un'altra più grande, dimora di un vecchio saggio indiano. L'incontro fu proficuo per il modo di affrontare la malattia da parte di Terzani.
Rientrato in Italia, visse gli ultimi mesi accompagnato dal figlio. Quando il padre morì, il figlio gli scattò una foto.
Successivamente, avendo sentito parlare suo padre di quell'indiano, volle andare a incontrarlo. Portò con sé molte foto del padre, degli ultimi suoi mesi di vita, compresa la foto del dopo-morte, convinto che le avrebbe gradite. L'anziano saggio guardò distrattamente tutte le foto, ma quando vide quella di Terziani morto gli si illuminò il volto e disse:” Allora ce l'ha fatta!”
Strano commento. Era come il riconoscimento che Terziani avesse concluso la sua vita secondo quanto si erano detti i due vecchi nei mesi precedenti. 
In serenità. Nella comprensione.
La morte come ultima sfida. Come ultima impresa della vita. La più impegnativa.
Un modo molto diverso dal nostro di concepire la morte.
Molto più umano.
Spero di farcela anch'io.

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24 luglio 2014

Scomparire (14-145)

Scomparire. (14-145)
Qualche giorno fa è stato il mio compleanno. È da tempo che sto dicendo a parenti e amici che non desidero più festeggiare i compleanni. Così quest'anno solo due familiari mi hanno fatto gli auguri. Gli altri mi hanno preso in parola.
Questo fatto mi ha provocato una riflessione.
Quando morirò, pochissime persone si ricorderanno di me. L'ho già sperimentato con mia madre (di lei non si parla che rare volte).
I mancati auguri di quest'anno sono un anticipo della mia scomparsa.
Voglio veramente scomparire? Voglio farlo anticipatamente, da vivo?
Devo rispondere con sincerità a queste domande.
Qualche anno fa, dovendo lasciar scritte le mie volontà, scelsi la cremazione della mia salma, ma non scelsi la dispersione delle ceneri. Mi restava un residuo di attaccamento. Volevo che qualcosa di me restasse.
Oggi non so bene.
Sto pensando alla dispersione come scelta ultima e definitiva.
Sto pensando che sia meglio scomparire definitivamente.
Cominciando dagli ultimi anni di vita.
È il destino di tutti, comunque.
Tanto vale assecondarlo.

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23 luglio 2014

Vecchi che pesano (14-144)

Vecchi che pesano. (14-144)
Una conoscente, già anziana, assiste la madre, quasi novantenne. 
La madre abita in un'altra città, lontana. La figlia deve quindi spostarsi. Vive un mese accanto alla madre e un mese a casa sua. Già da alcuni anni.  E' esausta.
Quando diventiamo vecchi pesiamo sugli altri. Inevitabile.
Le persone che ci accudiscono, dopo alcuni anni, si augurano che moriamo.
Si può evitare?
Non credo.
Quando siamo molto anziani, non ce la facciamo più a badare a noi stessi. La società se ne deve far carico. O il coniuge più in forze. O i figli.
Badare a se stessi il più a lungo possibile è un compito di noi vecchi.
Per molta parte della nostra vita ci siamo occupati degli altri. Ma all'inizio e alla fine non è possibile. Verso la fine della vita smettiamo di occuparci degli altri. Abbiamo le energie per occuparci soltanto di noi stessi.
È un dovere dei vecchi badare a se stessi il più a lungo possibile. Cercando di conservare la lucidità della mente e un po' di forza nelle gambe. Per diminuire il numero di anni durante i quali peseranno sugli altri. È quasi un nuovo ruolo sociale: badare a se stessi.
Una ricetta? Mangiare poco e muoversi molto.
Ci preserva dall'aver bisogno degli altri?
Non sempre. Non per tutti. Non per l'arco intero della nostra ultima vecchiaia.
Ma almeno ci avremo provato.

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22 luglio 2014

Raccontare (14-143)

Raccontare. (14-143)
Raccontami una storia.” Questa la richiesta frequente che i nonni si sentono fare dai nipoti.
Ricerca affannosa di qualche fiaba classica, lettura di nuove fiabe prese da qualche libro.
Qualcuno riuscirà a inventarsene (i migliori). Altri non si sentiranno all'altezza, ripeteranno le favole tradizionali. 
Tutto questo non è necessario.
I bambini non conoscono le fiabe, non le desiderano. Vogliono delle storie. Non importa che ci sia magia ed eventi straordinari. Meglio se hanno come protagonisti i nonni, gli zii, i genitori.
I vecchi nonni hanno vissuto molto. Hanno visto tante cose. Vissuto tante cose. Che cosa c'è di più semplice che raccontare pezzi della loro vita ai nipoti?
Si può raccontare una vacanza felice. Oppure la nascita dei nostri figli (loro genitori).
O qualunque altro pezzo delle nostre vite, meglio se con la partecipazione dei nostri figli.
I nipoti saranno rapiti da questi racconti. Succederà che ri-racconteranno le nostre storie ai genitori, immedesimandosi nel ruolo di protagonisti.
Le storie che raccontiamo possono sembrarci normali, se non noiose.
Non scoraggiamoci per questo.
La potenza d'immaginazione dei bambini le trasformerà in racconti meravigliosi.

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21 luglio 2014

Domande e risposte (14-142)

Domande e risposte. (14-142)
I bambini fanno domande. Genitori indaffarati e frettolosi rispondono poco e male.
Ancora oggi ricordo la frase sbrigativa con cui mio padre eludeva le mie domande di bambino.
Per esempio, se chiedevo:”Perchè quell'automobile va veloce?” rispondeva:”Glielo domanderemo.” Ironia fuori luogo (mai ironia e sarcasmo coi bambini: non capiscono).
Ma ci sono i nonni. Che non lavorano più, che hanno più tempo.
Noi vecchi dobbiamo rispondere alle domande dei bambini con attenzione, precisione, rispetto. Le loro domande sono una richiesta di spiegazione. Soprattutto sono una richiesta di relazione. Infatti spesso ripetono la domanda, dopo che hanno avuto la risposta.
Con le domande il bimbo chiede affetto, sicurezza. Chiede di essere tenuto in considerazione.
Compito dei nonni è di rispondere, anche con parole difficili, magari rimandando la risposta a quando ci siamo documentati (che meraviglia se il nonno per poter rispondere apre l'enciclopedia o il vocabolario!).
Non importa se capiscono la risposta: l'importante è che ci siamo per loro.
Che siamo presenti.

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19 luglio 2014

Nonno: un ruolo sociale (14-141)

Nonno: un ruolo sociale. (14-141)
Quando si diventa anziani, si cessa di lavorare. E si perde ruolo sociale. Si perde cioè la propria parte di contributo alla società.
Ma si diventa anche nonni, spesso. Ai più sembra quasi di rinchiudersi entro un guscio, quello della famiglia. Siamo felici di diventare nonni, ma dispiaciuti di perdere il nostro ruolo nella costruzione della società. Ci sembra quasi di essere sprecati in questo nuovo ruolo di accudimento dei nipoti.
Non è così.
Occuparsi di un nipote non è solo far da supplenti alle carenze della società nell'assistenza all'infanzia. È molto, molto di più, se lo si interpreta correttamente. 
I bambini da zero a tre anni hanno enormi possibilità. Se ricevono l'affetto dei nonni, che giocano con loro, che li accompagnano al parco giochi, che vivono una parte di vita con loro, saranno sicuramente dei cittadini migliori. Più equilibrati, più disposti a vivere con gli altri, pieni di valori civili. Tutto ciò glielo possono trasmettere i nonni. E se ciò accadrà saranno anche bambini più intelligenti (l'intelligenza fra zero e tre anni si sviluppa soddisfacendo i bisogni affettivi).
Noi nonni abbiamo un'occasione unica, quella di contribuire a costruire un nuovo essere umano e inserirlo nella società.
Straordinario ruolo sociale, quello dei vecchi-nonni.

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17 luglio 2014

Segreti (14-140)

Segreti. (14-140)
Vecchi e giovani sono diversi. Ovvio. Ma sono più che diversi. Appartengono letteralmente a specie diverse. In una pagina di diario dell'anno scorso scrivevo che noi vecchi siamo degli alieni.
Continuo a pensarla così.

Ieri sono passato a salutare il mio datore di lavoro. Ha una madre anziana di terza fascia, ultra-ottantenne. Il figlio è ancora giovane. La madre è nell'ultima fase della vita.
La madre talvolta parla di morte, della propria. Il figlio è insofferente. Non ama questi discorsi. Invita la madre a non farli. A pensare al presente.
Per un vecchio, soprattutto di ultima fase, il presente è la morte.
Nei contatti fra generazioni giovani e vecchie questa è una difficoltà. 
Noi vecchi ameremmo poter parlare apertamente della nostra fine. Un po' per esorcizzarla, un po' per abituarci all'idea. E anche perchè è la nostra condizione. La condizione di esseri umani prossimi alla fine.
Per i più giovani non è così. La morte è remota. È un'idea vaga. I più giovani vivono nell'illusione di essere immortali (è uno dei doni di Prometeo all'umanità).
I più vecchi invece ne parlano volentieri. Il pensiero della fine non li intristisce. Sono realisti. Il corpo fra poco non funzionerà più. Dunque si sentono vicini alla fine.

Vecchi, non parlatene coi giovani. Non possono capire.
Parlatene con i vecchi. Che diventi un segreto fra vecchi.
Da conservare gelosamente.

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16 luglio 2014

Destini (14-139)

Destini. (14-139)
Ho riflettuto sull'incontro avuto in montagna. Con la coppia in cui il marito è malato di cancro da 7 anni (vedi 14-138).
Ho riflettuto non tanto sulla mia inadeguatezza. Quanto sull'ingiustizia.
La mia vita confrontata con quella del signore malato di cancro!
Perchè vite tanto diverse? Perchè sofferenze così mal distribuite?
La moglie (molto, molto provata) mi diceva di un'amica (sensitiva) che le aveva parlato di reincarnazione. “Le tue sofferenze di adesso potrebbero essere la compensazione di una vita precedente, molto spensierata.” le aveva detto.
Me lo diceva con poca convinzione. Troppo semplicistico.
Eppure in alcune situazioni una vita sola non basta. Soltanto più vite possono soddisfare il nostro anelito di giustizia.
È consolante pensarla così. In alcune culture (specie orientali, ma non solo) è normale. Nella mia (occidentale, cristiana) sa di artificioso.
Spero di cuore che abbiano ragione gli orientali.
Spero proprio che il destino di una persona trovi il suo compimento in più vite.

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15 luglio 2014

Presunzione (14-138)

Presunzione. (14-138)
Noi vecchi siamo presuntuosi. Almeno, io lo sono.
Siamo vissuti a lungo, abbiamo così tanta esperienza da poter “asfaltare” qualunque giovane. A questo punto diventiamo presuntuosi. Presumiamo di avere la verità.
Ma così non è.
Abbiamo la nostra verità. Sacrosanta. Ma non è detto che valga per tutti. E bisogna essere prudenti. Vi sono situazioni delicate, diverse, che non rientrano nei nostri schemi.

Sono stato qualche giorno in montagna. Nell'alberghetto, in cui soggiornavo, vi erano altre due coppie. Eravamo in pochi nella sala da pranzo e così la sera ci davamo qualche parola. 
Una sera il discorso è caduto sulla vecchiaia e sulla morte. Non mi è parso vero. Ho voluto dire la mia.
Ho ribadito che per un vecchio la morte non è dietro l'angolo. Che anzi la vecchiaia è lunga. Che bisogna attrezzarsi per vivere quest'ultima lunga tappa della vita.
Insomma le mie idee. I toni erano scherzosi e il discorso è finito lì.
Il giorno dopo ho parlato da solo con una signora che era presente la sera. 
E ho saputo.
Ho saputo che il marito, presente la sera, è malato di cancro al cervello. Da sette anni.
Un lungo calvario di ospedali, operazioni, delusioni. Una prospettiva di vita di pochi mesi, un anno al massimo.

Mi sono sentito un inutile, saccente predicatore. Che raccontava le sue ideuzze, derivate da una vita priva di difficoltà. Che nulla sa di sofferenze, drammi, tragedie.
Mi sono sentito inadeguato.
Le mie idee nulla sono al confronto di vite vere.

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14 luglio 2014

Epiteti affettuosi (14-137)

Epiteti affettuosi. (14-137)
Ero alla finestra. Ho sentito una persona, giù in strada, che dava un saluto a un'altra, un po' distante. “Buongiorno, nonno!” sono state le sue parole.
Era chiaro che non fosse suo nipote. Era un appellativo per indicare un conoscente molto anziano. Una forma scherzosa, ma affettuosa. Si identifica l'anziano con la sua funzione principale: quella di avere dei nipoti.
La si usa quando è evidente l'anzianità del vecchio. Per dire, nessuno mi si è ancora rivolto con questo epiteto. A me che sono ancora un anziano giovane, sia pure già nonno.
Questo vocabolo, nonno, è il riconoscimento di un'altra età, di una certa fragilità, della perdità di ruolo sociale. L'anziano non è più avvocato, geometra, impiegato. Ormai ha solo un ruolo di tipo familiare.
La stessa intonazione affettuosa mi pare che vi sia nella lingua russa, dove gli anziani sono chiamati babuska (nonnino).
È un modo gradevole di rivolgersi a noi vecchi.
Mi piace.

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13 luglio 2014

Cambiamenti (14-136)

Cambiamenti. (14-136)
Quest'anno, per la prima volta, non ho guardato neppure una partita dei mondiali di calcio. Non mi interessa più.
Lo sport del calcio “prende” molto i maschi giovani. Sia come pratica dilettantesca, sia come tifo. C'è una sovrapposizione fra nazionale di calcio (maschile!) e identità nazionale. Ma io ho settant'anni, quasi. Da troppi anni seguo le partite. Il calcio mi è venuto a noia.
Mi piacerebbe ancora come spettacolo, ma doping, corruzione, scommesse clandestine, atteggiamenti dei giocatori, me l'hanno fatto dis-amare.
È cominciato tutto dopo i mondiali del 1982. Il calcio è straripato nei programmi televisivi. La noia è stato l'esito inevitabile.
Almeno per me, che ho vissuto per più di trent'anni questo eccesso di presenza.
I tanti anni di vita che si hanno in vecchiaia, permettono di cambiare gusti, idee, valori.
Bisogna metterlo in conto, soprattutto se anche la vecchiaia si prospetta lunga.

Quest'anno dunque non ho visto nessuna partita.
Solo durante la terza partita (Uruguay – Italia) mi sono interessato del risultato.
Ho fatto il tifo per l'Uruguay.

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12 luglio 2014

La cagna invecchiata (14-135)

La cagna invecchiata. (14-135)
Quando sono entrato formalmente nella vecchiaia, anche il mio cane si avviava a diventar vecchio. Così osservavo i suoi atteggiamenti e li confrontavo coi miei. Mi faceva da specchio.
Oggi, dopo due anni anche il mio secondo cane (anzi cagna) ha compiuto 12 anni. Insomma è vecchia.
C'è arrivata dopo di me e l'ho osservata in modo più oggettivo.
I suoi cambiamenti mi sono sembrati più veloci e appariscenti di quelli del primo cane.
Ha cominciato quest'inverno. Si rifiutava di scendere le scale, la sera. Ho pensato si trattasse di dolori reumatici e l'ho curata. Poi ha anche cominciato a salire le scale con lentezza, scalino dopo scalino, proprio come l'altro cane.
Quando era giovane, amava giocare e se le lanciavo un bastoncino o un frutto, li afferrava con vigore. Adesso si schermisce. Non gioca più. È timorosa che quel lancio possa farle del male. Si sottrae.
È diventata più impacciata. Se ci incontriamo in casa, stenta a farsi da parte. È incerta su dove andare. Devo prestare attenzione a non calpestarla.
Timori, difficoltà fisiche, impacci.
La descrizione della sua vecchiaia.
E della mia.

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11 luglio 2014

Le ore della sera (14-134)

Le ore della sera. (14-134)
Qualche sera fa siamo usciti a mangiare una pizza con mio figlio e la sua compagna. Era tardi, perchè mio figlio aveva finito tardi. Confesso che avevo già sonno quando sono arrivato in pizzeria. E così, nei discorsi sui cognomi delle nostre famiglie, ho fatto qualche confusione fra gli eventi della famiglia di mia moglie e quelli della famiglia di mia nuora.
Errore innocente, ma sono stato colto in flagrante. I presenti hanno sorriso. Io sono stato imbarazzato. Non l'hanno detto, ma tutti avranno pensato:”... ecco il vecchio che perde colpi ...”
Fa parte della nostra età, essere meno lucidi di sera.
Alla sera non riesco più a leggere. Mi addormento subito, o, peggio, continuo a leggere senza trattenere. Mi è poi impossibile studiare qualche testo impegnativo, sempre di sera. Inoltre di sera scompare anche il desiderio di uscire, incontrare gente, fare una telefonata.
Non c'è nulla da fare. Questa è la realtà.
Contro-misure: faccio al mattino quello che dovrei fare la sera. Al mattino comprendo tutto, ricordo bene, sono vigile.
Oppure nel tardo pomeriggio mi prendo un caffè: allora un po' di lucidità rimane anche in serata.
Noi vecchi non siamo fatti per le ore piccole.

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10 luglio 2014

Caricature (14-133)

Caricature. (14-133)
Talvolta i vecchi sono presi di mira in modo umoristico.
Esempio: la voce. È nota la macchietta del vecchio nei film western. La sua voce stridula fa sempre sorridere.
Oppure si prendono in giro i modi di dire: “ Ai miei tempi ...”
Oppure ancora si raffigurano i vecchi accentuando la loro bruttezza. Nasi enormi, bitorzoluti; bocche sdentate; calvizie.
Nelle caricature che fanno di noi possiamo trovare la realtà. Le altre età ci vedono così.
Perchè così siamo o diventeremo.
Fa parte del processo di trasformazione del nostro corpo e della nostra mente.
Niente illusioni. 
Invecchiando diventiamo più brutti, perdiamo la voce, restiamo aggrappati ai tempi della nostra giovinezza.
La vita ci porta a questa condizione.
Le caricature ci dicono la verità.

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09 luglio 2014

Farsi aiutare (14-132)

Farsi aiutare. (14-132)
La mia vicina di casa, ottantacinquenne, ieri mi ha chiesto di accompagnarla al Pronto Soccorso. Nulla di grave, ma aveva un occhio gonfio, molto infiammato. L'ho accompagnata di buon grado, contento che finalmente mi avesse chiesto aiuto.
Più volte in questi mesi le ho proposto di farle piccoli servizi, quelli che lei alla sua età fatica a fare (e il marito è ancora più anziano).
Noi vecchi siamo nella fase calante della vita. Ma proveniamo da un'età nella quale facevamo tutto. Non avevamo bisogno d'aiuti. O, se ne avevamo bisogno, chiedevamo a nostri pari. Giunti nella vecchiaia, stentiamo a chiedere aiuto. Perchè stentiamo a riconoscere di esserci indeboliti. Ci rendiamo conto che l'aiuto che chiediamo non è più fra pari.
Pudore, orgoglio, abitudine a far da soli?
Dovremmo imparare dai bambini. Chiedono aiuto agli adulti, senza complessi, come cosa naturale.
Dobbiamo imparare a far ri-diventare normale la richiesta d'aiuto.

(L’indice per argomenti del 2013 si trova a pagina 442; quello del 2012 a pagina 107. La sintesi del 2012 sitrova alla pagina 14-41.)
(per comunicazioni private: holgar.pd@gmail.com )

08 luglio 2014

Cassandra (14-131)

Cassandra. (14-131)
Era una delle figlie del re di Troia, secondo Omero, nell'Iliade.
Prevedeva il futuro, ma era inascoltata.
In questi giorni di ferie ho provato a raccontare le mie scoperte in fatto di vecchiaia, alimentazione e malattie. Ho raccontato che vecchiaia non significa malattia. Che una sana alimentazione può prevenire le cosiddette malattie della vecchiaia. Che si può morire di vecchiaia e non di malattia.
L'ho raccontato ad amici, conoscenti, sconosciuti.
Ho fornito ricerche, testi, concetti.
Risultato: incredulità, sorrisi, scarsa accettazione.
O anche peggio:” Lo faccio già. Ormai mangio carne solo due volte a settimana. Poco formaggio e uova.” 
C'è una gran distanza fra l'essere vegani e questa scimmiottatura di stile salutistico!

L'idea che la vecchiaia porti necessariamente malattie come diabete, infarto, ictus, cancro, è fortemente radicata nella testa della gente.
Eppure basterebbe leggere il libro The China Study di Colin Campbell, per cambiare idea.
Il fatto è che non si vuole cambiare idea. Perchè non si vuole cambiare stile di vita.
Soprattutto non si vuole cambiare tipo di alimentazione. Non si vuole diventare vegetariani (senza uova e latticini, cioè vegani).
Si può essere vegetariani per principi etici. Ma anche per mantenere la salute.
Non importa la motivazione: basta diventarlo, per risparmiarsi molte delle malattie della vecchiaia.

Mi sento come Cassandra (sì, sì, è un po' esagerato!).
Solo che le mie profezie, non sono di sventura.
Servono a vivere meglio l'ultima età della vita.

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07 luglio 2014

Speranze (14-130)

Speranze. (14-130) 
Sono stato qualche giorno in ferie. Nell'alberghetto dove pernottavo ho incontrato una signora, buona conoscente di un personaggio pubblico italiano. Ho saputo che il personaggio in questione è malato di cancro e forse è prossimo alla morte.
Sono dispiaciuto (anche se è molto anziano). È una persona nota per le sue battaglie civili e per le sue ricerche scientifiche. È noto anche per essere un vegetariano.
Il mio dispiacere nasce soprattutto da quest'ultima sua peculiarità.
È un anziano ed è vegetariano.
Nella mia ingenuità pretendevo che non potesse ammalarsi di cancro. L'ho detto in famiglia. Si sono meravigliati del mio stupore.
Veramente ti spettavi che un vegetariano non potesse ammalarsi di cancro?” mi è stato detto e anche:” Ti aspettavi che un anziano non potesse morire di malattia?”
Capisco di essere troppo ingenuo, ma voglio comunque ribadirlo. Nella ricerca di questi due anni di diario, ho analizzato il rapporto tra vecchiaia e malattie. Un punto d'arrivo che mi sembra di aver raggiuto è il seguente: non è vero che la vecchiaia porti inevitabilmente le malattie. Non è vero che morte significhi sempre morte per una qualche malattia.
È solo un'idea, d'accordo.
Andrebbe dimostrata, d'accordo.
È una speranza, però.
Per questo sono dispiaciuto.

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