31 gennaio 2018

Testamento (18-015)

Testamento. (18-015)
"Mettere mano al proprio testamento significa confermare la propria mortalità. In una certa misura, naturalmente, lo si fa per ragioni molto egoistiche ma in gran parte, secondo me, per facilitare le cose a chi resta.
Quando si è morti si è morti e non si ha più voce in capitolo.
Vivere è poter dire di sì o di no. Esser morti è ritrovarsi circondati dal silenzio. [...]
Probabilmente la maggior parte delle persone ritiene di dover fare testamento ma poi non lo fa o si limita a qualche annotazione su un taccuino. Si finisce per rimandare. In molti casi dipende di certo dalla semplice superstizione: si ha paura di tirarsi addosso la morte, subito pronta a venire a prenderci. Altri invece hanno forse la sensazione che non ci sia tutta questa fretta. Si è ancora giovani. Ci si penserà a tempo debito.
Si crea la più grande delle illusioni: se muoio. Non quando muoio."
Tratto da: Sabbie mobili L'arte di sopravvivere di Henning Mankell (2015, Marsilio Editori)
pagg. 37 e 38.


(L'indice per argomenti del 2013 si trova a pagina 442; quello del 2012 a pagina 107. La sintesi del 2012 si trova alla pagina 14-41. Da settembre-ottobre 2016, nell'ultimo giorno di un bimestre compare una sintesi del bimestre appena concluso)
(per comunicazioni private:           holgar.pd@gmail.com             )

29 gennaio 2018

Più opaco (18-014)

Più opaco. (18-014)
All'inizio non me ne accorgevo. 
Attribuivo certe mancanze a episodi isolati, fornivo giustificazioni specifiche, soprattutto non ne avevo consapevolezza.
Ora sono diventate più frequenti, impossibile non fare due più due uguale quattro.
Quando mi dicono che in quell'occasione sono stato particolarmente silenzioso e la cosa si ripete due o tre volte nell'arco di una settimana, ci rifletto e, sì, devo convenire che sto diventando più opaco. Più imbambolato, più assente durante le conversazioni.
Mi difendo ancora, attribuendo il mio comportamento a stanchezza, alla pennichella pomeridiana saltata, al fatto che gli incontri sotto accusa si svolgono nel tardo pomeriggio o di sera, quando le mie riserve sono al lumicino.
Non mi lamento di ciò. So che è tipica della vecchiaia, la diminuzione di capacità reattive.
Mi preoccupo però, perchè l'ho vista evidente in ultra-ottantenni e non in settantenni come me. Mi sembra che mi capiti un po troppo presto. 
Ma forse mi sbaglio: lentamente da vecchi si perdono quelle capacità.

Questa è la vecchiaia.
Non l'alzheimer, il parkinson, il cancro, l'infarto e via dicendo.
Cioè non le malattie.


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26 gennaio 2018

Appello* (18-013)

Appello.* (18-013)
Solite cose.
Una giovane dell'età di mio figlio, mi chiede se sono molto impegnato coi nipoti.
Rispondo che sì, sono impegnato, ma non tutti i giorni e talvolta soltanto per poche ore; ciononostante dopo gli accudimenti di questo o quel nipote, arrivo a sera stanco. Concludo: "Sono vecchio e anche impegni non troppo gravosi mi stancano."
Risposta: "Non sei vecchio e comunque ciò che conta è lo spirito."

Vorrei fare un appello alle generazioni più giovani: quando noi anziani diciamo che siamo vecchi, lo diciamo con cognizione di causa, sapendo quel che diciamo.
Smettetela di dirci che non siamo vecchi: perchè è falso.
E poi: si è vecchi anche se lo spirito è giovane (lo spirito non ha età!).
Non mistificate la realtà dicendo: ciò che conta è lo spirito; noi siamo la prova vivente che ciò che conta è il fisico, pur in presenza di uno spirito giovane.
Infine: neanche lo spirito è giovane, semmai vivace. È importante, sì, che resti tale nonostante gli appesantimenti psichici causati appunto dalla vecchiaia. Ma non va confuso con lo spirito di un giovane.

Appello ai giovani e alle persone dell'età di mezzo: ascoltateci quando parliamo, soprattutto quando parliamo di vecchiaia.
Altrimenti non imparate nulla.


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25 gennaio 2018

L'alimentazione dei vecchi (18-012)

L'alimentazione dei vecchi. (18-012)
Un paio di mesi fa commentavo le conseguenze di una scoperta: in un secolo e mezzo la vita media è aumentata più del 50%, da 49 anni a 80 anni (vedi 17-178). 
E' aumentata soprattutto la vecchiaia. 
Ricordo ancora quell'aborigeno australiano il quale, entrato in contatto col mondo occidentale e trasportato in Europa, alla domanda che cosa lo colpisse di più del mondo avanzato, rispose: "La lunghezza della vecchiaia."
Siamo dunque anziani prolungati da pochissime generazioni. Nelle altre migliaia di generazioni del genere homo, la vecchiaia era brevissima.
Soltanto da tre generazioni siamo vecchi per così tanto tempo: i nostri nonni, i nostri genitori e noi. Non c'è esperienza dunque, anche perchè nonni e genitori oltre che vecchi hanno patito una o due guerre, col contorno di fame e freddo che ciò ha comportato.
Noi, invece, per la prima volta nel genere umano, possiamo vivere a lungo senza esser accompagnati dagli stenti di un periodo bellico.
Noi vecchi giovani di quest'epoca (dai 73 anni in giù) siamo privi di punti di riferimento costituiti dalle generazioni precedenti, a proposito di vecchiaia.
Una generazione che fa eccezione. Un esperimento in atto.
Anche sul cibo che assumiamo non possiamo fare affidamento su nessuno.
A tale proposito sono patetici i consigli che medici, giornali, trasmissioni televisive danno ai più vecchi a proposito di alimentazione. Si dice: l'anziano deve mangiare più leggero, deve aumentare le proteine specialmente quelle della carne (!), perchè perde massa magra, deve mangiar più verdura. Consigli banali che non si poggiano su nessun quadro di riferimento certo. Perchè si vagola nel buio a riguardo di un'età completamente nuova: la vecchiaia lunga appunto, sconosciuta negli altri secoli e millenni.
Come alimentarsi dunque?
Tenendo presenti le scoperte degli ultimi trent'anni: il vegetarianesimo, l'alimentazione del paleolitico, l'importanza del cibo crudo, il ruolo fondamentale dell'intestino per la vita e la salute, l'asse fra cervello primario e cervello enterico e soprattutto l'ultima scoperta, il ruolo dei batteri intestinali per la salute e la vita.
E poi provando su noi stessi.
Perchè la scienza non ha fatto ancora a tempo a svolgere ricerche sulla nostra età.
Siamo una specie nuova.

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23 gennaio 2018

Freddo (18-011)

Freddo. (18-011)
Quest'estate ho patito il gran caldo. Contrariamente a quanto era avvenuto l'altr'anno. 
Da vecchi si diminuisce la capacità di adattarsi agli sbalzi di temperatura. Lo sapevo. È per questo che mi meravigliai due anni fa: sembrava che la mia adattabilità fosse stata recuperata in pieno (rispetto ad anni ancora precedenti). Ma è una caratteristica della vecchiaia procedere a sbalzi. Un anno va bene, un altro va male, poi sempre più numerosi sono gli anni in cui va male (si perde capacità di adattamento).
 
Adesso siamo in inverno. Un inverno mite, soprattutto in questo mese di gennaio.
Eppure patisco di più il freddo. Fin da novembre ho cominciato ad aver freddo alle cosce (e ho indossato le tipiche mutande di lana degli anziani!). Poi al tronco (e ho indossato un doppio maglione). Infine di notte: sono costretto ad andare a letto con un gilè di lana.
Vecchiaia?
Sicuramente sì, ma questi cambiamenti mi stanno bene, li considero proprio l'essenza della mia ultima età.
Non le malattie.


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21 gennaio 2018

Fascicoli (18-010)

Fascicoli. (18-010)
All'inizio di ogni anno faccio un pò di pulizia fra le cartelle della contabilità di casa e di vari documenti. Così elimino estratti conto bancari, bollette dei consumi di acqua, gas, luce e telefono, certificati medici scaduti o altro che riguardi la salute, il condominio, i veterinario eccetera. 
Fra questi fascicoli ve n'è anche uno col nome di mia madre, morta oramai 10 anni fa.
Quest'anno ho rivisto anche il contenuto della sua cartella, eliminando documenti inutili.
Il fascicolo si è molto assottigliato.
Del resto ricordo raramente mia madre. Talvolta rammento alcuni suoi difetti appariscenti che, anni dopo la sua morte, sono diventati dei pregi, e suscitano ilarità. E perfino una punta di ammirazione. Ricordo quei difetti che scopro, con sorpresa, essere anche i miei.
Ma anche la memoria di lei si è molto assottigliata.


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20 gennaio 2018

Non è importante (18-009)

Non è importante. (18-009)
Alcuni anni fa il figlio di mia moglie, quando veniva a trovarci, ci chiedeva che cosa facevamo nella vita. Domanda generica, ma non proprio. Ricordo che io gli rispondevo:"Lavoriamo, curiamo i nostri animali (cani e gatti), non ci resta molto tempo (ancora non avevamo i nipoti)." Lui in realtà voleva dirci: che fate in ambito sociale, culturale, politico? Non dava giudizi, ma gli si leggeva in faccia una delusione per la pochezza della nostra vita. Non partecipavamo al dibattito politico, non eravamo impegnati in iniziative sociali, non conoscevamo i contenuti delle discussioni culturali d'attualità.
Ricordo che, quando avevo quarant'anni, davo una valutazione simile sulla vita dei miei genitori. Da giovane provavo il bisogno urgente di dare un significato alla mia esistenza, in termini di impegno sociale. Forse anche il figlio di mia moglie vive la stessa fase.
Oggi sono vecchio. Ho ridimensionato quelle aspettative. Vivo senza troppo preoccuparmi della valenza sociale della mia vita. Mi occupo maggiormente di singoli aspetti, come per esempio il sostegno a un bambino handicappato della Palestina, il tentativo di oppormi allo stravolgimento del parco che frequento, la comunicazione ad altri (molto pochi, in verità) delle mie scoperte in fatto di alimentazione. Cose minime, dunque.
Francamente non sento più la mancanza di importanza sociale di ciò che faccio.
Anzi: ora che sono entrato pienamente nel decennio dei 70 anni, è comparsa una sensazione del tutto nuova. Ogni giorno ho cose da fare: i nipoti, questo diario, gli acquisti, le aggiustature in casa eccetera, eccetera. Mi sembra che tutte rivestano la stessa importanza. Non faccio più differenze fra il passare dal supermercato per comprare del cibo e il leggere un libro importante, accudire un nipotino e portare a spasso i cani, scrivere un articolo per un giornale e mettere in ordine uno scaffale.
Mi pare che alla mia età sia tutto importante, ogni singola azione.
O meglio, nulla sia più importante di qualcos'altro.
L'importante è fare qualcosa.
L'importante è vivere.


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19 gennaio 2018

Libri (18-008)

Libri. (18-008)
Li amo molto. Ogni libro è un condensato di esperienza di un individuo. I libri fanno vivere rapidamente esperienze che sono maturate in anni e anni.
Quando ho cominciato a scrivere questo diario, ho pensato che avrei potuto documentarmi sui molti testi riguardanti la vecchiaia e la morte. Poi ho preferito scrivere i miei pensieri, quelli nati dalla mia sola vita, piuttosto che cercare nelle esperienze altrui. Ma qualche libro l'ho letto e ne trattato in alcune pagine.
Fra tutti il classico La terza età di S. de Beauvoir. Che però non ho finito.
Mi ha entusiasmato di più Via di qua di U. Curi, sulla morte, perchè attinge ai miti greci e a profondi autori moderni (Kafka, Rilke). E anche Modi di morire di I. Heath, per le numerose e calzanti citazioni di poeti e scrittori: la poesia e la letteratura descrivono più dei trattati. 
Forse il più profondo di tutti è La forza del carattere, di J. Hillman, grande psicanalista, allievo di G. Jung, interamente dedicato alla vecchiaia.
Recentemente, quando trovo in libreria nuovi testi, li leggo, per la curiosità di scoprire idee diverse. A volte vi ritrovo pensieri che ho fatto anch'io, (scritti molto meglio).
Così mi sono imbattuto in Il libro contro la morte, di Elias Canetti, che ho appena cominciato: raccoglie idee sulla morte di tutta una vita che avrebbero dovuto far parte di un libro che Canetti non ha mai scritto. E anche in Sabbie mobili, di H. Mankel, uno scrittore che decise di raccogliere in un libro l'ultima parte della sua vita, dopo una diagnosi di cancro: "Di colpo fu come se la vita si fosse ristretta. La mattina in cui mi venne comunicata la diagnosi [...] l'esistenza si contrasse."
Dev'essere un'esperienza comune anche a chi è molto avanti cogli anni, la vita accorciata.

Leggendo tutto ciò mi sono convinto che ognuno di noi può giungere a cogliere gli elementi fondamentali di vecchiaia e morte.
Perchè siamo tutti uguali.
Esseri umani.


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15 gennaio 2018

E' morto il mio pasticcere (18-007)

È morto il mio pasticciere. (18-007) 
Era stato colpito da infarto tre anni fa. Dopo un periodo di riabilitazione, durante il quale aveva adottato uno stile di vita salutare, aveva ripreso il suo modo di alimentarsi e viziarsi.
Un anno fa gli è stato diagnosticato un cancro. Che l'ha condotto a morire.
Si dirà:" La pasticceria, con tutti quegi zuccheri!" In verità non era goloso. Il suo difetto principale era il fumo. Niente di eccessivo, ma continuato per cinquant'anni. Ma l'altro difetto erano gli alcolici: vini, grappe. Il fumo così come l'alcol sono cancerogeni. Lo si sa da un pezzo.
Infine, non era certo vegetariano, nel senso che la carne faceva parte della sua dieta. 
Anche la carne (rossa) e gli insaccati sono cancerogeni.
Come si vede nulla di clamoroso: non era un fumatore accanito, non era un ubriacone, mangiava carne volentieri, ma senza esagerare.
Micidiale la miscela delle tre abitudini: prima l'infarto e poi il cancro.
Come si dice: ha voluto godersi la vita per non vivere da ammalato (rinunciando cioè all'alcol, al fumo, alla carne). Ma la conclusione è stata quella di morire da ammalato.
A causa delle malattie.
Il suo stile di vita non gli ha impedito di avere una vita abbastanza lunga: la vecchiaia se l'è vissuta, ma a fronte degli 80 anni di vita media della mia regione, ne ha vissuto dieci di meno. È morto a 71 anni (sempre di più rispetto all'età media di un secolo fa, che era di 60 anni).
Non è questione di vita più o meno lunga. 
Il danno maggiore è la malattia che ha invaso i suoi due ultimi anni di vita.
Con uno stile di vita salutare si evita una parte importante di malattie.
Ne sono sempre più convinto.


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14 gennaio 2018

Sbalordito (18-006)

Sbalordito. (18-006)
Un paio di mesi fa portavo ancora mio nipote di tre anni al parco giochi (non faceva troppo freddo). Lui ama soprattutto l'altalena e lo scivolo. Soddisfatti i suoi bisogni relativi ai quei giochi, si era messo a giocare con i sassolini del parco, sotto la struttura dello scivolo. C'era una parte direttamente sotto la scaletta d'accesso e anche una barriera di legno che divideva uno spazio interno da quello esterno. Lui era dentro, io ero fuori. D'improvviso mi guarda e sorridendo mi chiede:"Che cosa vuoi?" Dopo un'attimo di indecisione ho capito che voleva fare un gioco di ruolo. Come se fosse un barista e io un cliente. Gli ho risposto:"Un caffè!" Prontamente mi ha dato un sassolino che simulava la tazzina; l'ho preso e ho fatto finta di bere, manifestando tutto il mio gradimento. Abbiamo continuato a giocare così per dieci minuti.
Colpito da questo fatto, alla prima occasione gli ho regalato una cucinetta da bambini con stoviglie, piattini, tazzine e molti oggetti di palstica che imitavano frutta,  verdura e altri alimenti. Quando gliel'ho consegnato a casa sua era felicissimo. Abbiamo giocato per più di un'ora. In quell'occasione per fare dei confronti fra ciò che è vero e ciò che è finto ho cercato nel frigorifero di casa sua della frutta e della verdura. Non ne ho trovata. La cosa mi ha inquietato, ma ho pensato che l'assenza fosse dovuta a un ritardo nella spesa.
Qualche settimana dopo ho ripetuto il gioco e ancora ho cercato frutta e verdura: ho trovato solo un limone e una cipolla! Incredulo ho cercato nel congelatore buste di qualcosa di vegetale: nulla se non patate da friggere.
Sono sbalordito: in quella casa non ci sono cibi vegetali freschi, così come li si trova in natura. A parte il modello deformato che viene dato al bambino su ciò che è cibo, non posso capacitarmi che la famiglia di mio figlio non mangi vegetali (se non patate, pane, pasta, biscotti).
Senza invocare le raccomandazioni dei vari organismi sulla necessità di mangiare vegetali freschi, di assumere fibra vegetale, di mettere nella dieta frutta e verdura fresche, basterebbe lo slogan dell'istituto dei tumori di Genova: cinque porzioni di frutta e verdura al giorno costituiscono una prevenzione dal cancro.
Di tutto quello che ho imparato in quarant'anni (sul cibo) non è passata a mio figlio la benchè minima informazione. Passi, se si trattasse di arte, scienza o letteratura; ma si tratta di cibo e non mangiare gli alimenti di base, dei quali la specie umana si è nutrita negli ultimi due-tre milioni d'anni, non può che causare malattie.
Non subito (anche se potrebbe avvenire presto), sicuramente nella vecchiaia.
Sono ancora sbalordito.
Mio figlio si sta preparando una vecchiaia malata.


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12 gennaio 2018

Gigantismo (18-005)

Gigantismo. (18-005)
Ho accompagnato il figlio di mia moglie all'aeroporto. Lo faccio tre quattro volte all'anno. 
In tali occasioni vengo a contatto con l'autostrada, il traffico (autotreni, soprattutto), la velocità della auto, l'aerostazione, il controllo dei passeggeri, lo smistamento nei vari cancelli, i grandi aeromobili: la complessità di un modo moderno di muoversi.
Mi sono un poco abituato. Ricordo che la prima volta ero stato messo in confusione dall'intensità del traffico. Ora non più.
Questo importante risultato, poter arrivare lontano, partendo da casa, in un paio d'ore, percorrendo migliaia di chilometri, lascia sbalorditi, soprattutto pensando ad altre epoche in cui occorrevano settimane di tempo per lo stesso viaggio.
Ma non possiamo rispondere di getto e dire: "Quant'è meglio oggi, rispetto al passato!" perchè resteremmo solo in superficie. Dovremmo farci la domanda: siamo cresciuti in umanità?
Temo di no.
Le conquiste tecnologiche moderne ci affascinano, ma non ci fanno crescere nello spirito. Ci danno più cose, più occasioni, più velocità, ma restiamo sempre gli stessi, in aereo o in diligenza. Una maggiore conoscenza potrebbe farci vivere meglio, ma ciò non si tramuta così, semplicemente, in un "acquisto" per il nostro essere. Più autostrade, più aerei, più automobili, ma potrei continuare: più computer, più smartphone, più elettronica, non ci fanno vivere meglio.
Lo so che non sono il solo a dirlo, ma è la verità: non ci fanno vivere meglio. Anzi, se possibile, ci possono far vivere peggio, se ne siamo catturati al punto di perdere altre realtà.
Al ritorno dall'aeroporto sono stato contento di tornare a casa a riposarmi: il gigantismo delle soluzioni moderne ai problemi (pratici) della vita ha come risultato quello di stancarmi.
In ciò sento di essere diventato vecchio.


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10 gennaio 2018

Continuazione (18-004)

Continuazione. (18-004) (09/01/18)
Continuo a parlare di modernità (vedi ieri) facendo un esempio.
Sono nato con la televisione. Avevo otto anni quando sono cominciate le trasmissioni in Italia. Ma ricordo com'era la vita senza tv.
Dopo cena si restava a tavola, in cucina; qualche volta si ascoltava la radio, più spesso mio nonno raccontava pezzi di vita. Racconti pieni di fascino, per un bambino piccolo. La nonna, insieme a noi, sparecchiava e metteva in ordine la cucina.
Con la tv, non si restava più a tavola, si passava in sala dove era collocato l'apparecchio televisivo, ognuno si relazionava con quella scatola. Mia nonna restava da sola in cucina e veniva in sala solo più tardi.
Era meglio? Era peggio?
Semplicemente era diverso (con meno rapporti fra noi, però). Nonostante la tv, continuavo ad andare al cinema. Il nuovo si era aggiunto al vecchio. Sembrava un arricchimento di possibilità.
Quella tecnologia, oggi, è invasiva. Non esistono alternative. I bambini addirittura non riescono a figurarsi come si potesse vivere senza tv. Quello strumento apparentemente innocuo, ci ha cambiato la vita, quando è diventato senza alternative.
Chi dobbiamo ringraziare? Noi stessi? O la società (l'industria, la politica) che ha indotto quel cambiamento?
Il fatto è che una tecnologia ha trasformato la convivenza. Oggi possiamo dire che non ne avevamo bisogno.
Lo stesso si può dire della tecnologia moderna: smartphone, whatsapp, facebook, tablet, l'obbiettivo inutile del "sempre connessi". Ci cambierà la vita. E tutti a entusiasmarsi, a dedicare ore e ore per impadronirsi di nuove tecniche, a gioire perchè con uno sfioramente della mano ci si collega, si ingrandiscono foto, si sfogliano libri. 
Non è un incremento di umanità. 
Ne abbiamo bisogno?
No.
Soltanto I vecchi possono tentare di avvisare la società, proprio con la loro inadeguatezza rispetto al nuovo. Ma ancor di più per la mancanza di entusiasmo per novità francamente povere di contenuti.


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09 gennaio 2018

Inadatto (18-003)

Inadatto. (18-003)
Mi chiedo se il rifiuto della modernità non sia dovuto all'incapacità di adattarmi alla società nuova.  All'incapacità di appropiarmi di tecniche complicate.
In sostanza sia dovuto al semplice fatto che sono diventato vecchio (perdita di abilità varie). 
Se così fosse, divento sempre più inadatto a vivere nel nuovo mondo. Fino al punto in cui non ce la faccio più a vivere nella nuova società, senza un aiuto. Allora meglio morire.
Forse ciò è vero per ogni generazione. Ogni gruppo d'età diventando vecchio, non si riconosce più nel nuovo che avanza, ne prende le distanze, diventa incapace di vivere nella nuova società e alla fine è meglio che muoia. 
Ciò è vero soltanto se la vecchiaia è lunga. 
In una vecchiaia breve, non si fa in tempo a estraniarsi dalla nuova società, perchè di fatto si continua a esser parte di essa che è ancora la vecchia società.
Ma da tre generazioni l'età media di vita è passata da 50 anni a 80 anni. Abbiamo letteralmente il tempo di osservare i cambiamenti e alla fine di sentire che la società è realmente cambiata mentre noi continuiamo a vivere.
E diventare inadeguati rispetto al nuovo.


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07 gennaio 2018

Modernità (18-002)

Modernità. (18-002) (07/01/18)
Non c'è dubbio che la nostra età sia caratterizzata dall'elettronica. Denaro elettronico, posta elettronica, conoscenze attraverso internet, banca elettronica, consultazioni elettroniche e così via. Non è un male di per sè; lo diventa quando l'intero mondo degli uomini e la loro vita individuale girano attorno a questa modernità. Lo diventa quando non c'è più spazio per altro. Tutta la vita è pervasa da questo modello.
Soltanto i vecchi possono fare confronti con un altro modo di vivere. Quindi valutare se è meglio o peggio. I vecchi sono preziosi: ultimi testimoni di un'altra società; ultimi a ricordare quello che si è perso nella modernizzazione.
Il nuovo mondo ha la sua buona dose di retorica, che viene comunicata attraverso la pubblicità: l'anziano che sfotte il nipote pagando con un bancomat che semplicemente si appoggia a una macchinetta, senza digitare alcun codice; giovani che si suddividono le spese della pizza semplicemente attraverso carte di credito/debito; oggetti che si possono comperare su internet e ricevere direttamente a casa; comunicazioni via twitter o facebook.
Ma sono vantaggiose queste nuove modalità? Sono meglio?
Qualche volta sì.
Spesso no.
Ma anche se non lo sono, diventano spesso l'unico modo concesso di operare. Non c'è l'alternativa. Si comincia con affiancare il nuovo modo al vecchio. Poi si riduce lo spazio del vecchio. E infine si elimina il vecchio. Si è cvostretti a usare il nuovo.
Occorrono anime libere e critiche che si ribellino.
I vecchi, per esempio.


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06 gennaio 2018

La vasca da bagno (18-001)

La vasca da bagno. (18-001)
In tarda età diventano un problema anche le cose normali per le altre età.
La mia vicina, prossima ai novanta mi confessava stamattina che non le dispiacerebbe cambiare appartamento, andando a occupare quello sotto di lei che è sfitto da alcuni mesi.
Il motivo? Il bagno.
Perchè il bagno della sua attuale casa è fornito di vasca, mentre quello dell'appartamento sottostante ha una doccia. Lei e il marito sono ormai novantenni e alzare una gamba per scavalcare il muretto che delimita la vasca da bagno è diventato impossibile per entrambi. Una doccia invece permette di dotarsi di una comoda poltroncina in plastica, sulla quale sedersi e manovrare l'acqua senza sforzo.
Un anno fa ha rifiutato di andare ad abitare al primo piano, spaventata dal cambiamento, adducendo pretesti vari (e avrebbe risolto il problema delle scale). Ora sarebbe disposta a sobbarcarsi un trasloco per una modifica del bagno che le costerebbe poco denaro (per il cambio da vasca a doccia, oppure per la messa in opera di una vasca con porticina).
In età avanzata peggiorano anche le capacità intellettive.
Più che un problema di vasca la mia vicina ha un problema di comprensione.


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