31 agosto 2018

Resoconto di luglio e agosto 2018 (18-117)

Resoconto degli ultimi due mesi (luglio e agosto 2018). (18-117) 
In questo bimestre più volte ho toccato il tema del gran caldo (18-093, -108, -109) e dei suoi effetti sulle persone anziane.
Ho anche scritto sulla necessità di trovare un insegnante di vecchiaia (18-092). Un anziano di un decennio più vecchio e ancora in grado di comunicare: potrebbe farci da guida negli anni a venire, che spaventano un poco tutti.
Ma le novità hanno riguardato altro: la scoperta della sedazione profonda per i malati terminali, che aiuta a risolvere problemi come il suicidio assistito (eutanasia) (18-099 e -100); e la presa di coscienza che nell'alimentazione, soprattutto degli anziani, i dolci sono proprio dannosi (18-091).
Il giudizio sulla nuova società che si sta costruendo in questi decenni e su possibilità alternative li ho trattati più volte (18-097, -102, -103, -106): fortuna che ci sono i vecchi che possono smascherare gli interessi che sottostanno a tutte le nuove tecnologie, a tutte le modifiche che tanto entusiasmano i giovani, ma che si rivelano nient'altro che fumo negli occhi, specchietti per le allodole per abbindolare gli ingenui.
Infine ho scoperto (e ne ho trattato nella pagina 18-115) che sono ancora molto imprudente e che questo crea condizioni per morire un po' prima: niente di peggio di un vecchio che si comporta come un giovane, senza avere un corpo che lo sostiene nelle sue imprudenze.
In fondo in fondo (qualche giorno fa) ha cominciato a balenarmi un'idea (18-116): la mia generazione è una delle prime che gode di una vecchiaia lunga, fra le 100.000 generazioni del genere homo; non è che siamo realmente una generazione speciale e che tutta la storia del genere umano stia per cambiare, col raddoppio della lunghezza di vita che stiamo vivendo?




(L'indice per argomenti del 2013 si trova a pagina 442; quello del 2012 a pagina 107. La sintesi del 2012 si trova alla pagina 14-41. Da settembre-ottobre 2016, nell'ultimo giorno di un bimestre compare una sintesi del bimestre appena concluso)
(per comunicazioni private:           holgar.pd@gmail.com             )

26 agosto 2018

Siamo diversi? (18-116)

Siamo diversi? (18-116)
I vecchi della mia generazione mi paiono diversi.
L'avevo notato qualche tempo fa, osservando alcuni miei coetanei particolarmente in forma. L'ho osservato ancora la settimana scorsa, al bar, dove a un tavolino erano sedute tre donne anziane, perfettamente autonome e sciolte nel linguaggio, che però avevano superato gli 80.
L'ho visto ancora ieri parlando con la dirimpettaia dell'appartamento che ho appena venduto: la conosco da cinquant'anni eppure sono rimasto stupito quando, fra l'altro, mi ha rivelato la sua età: 78 anni. Gliene davo nettamente di meno.
Mi chiedo se non stia semplicemente facendo un errore di valutazione: cioè guardo con occhio benevolo gli anziani miei coetanei, che mi paiono tutti arzilli e pimpanti, mentre in realtà sono come gli altri. Sono io che li vedo migliori.
In sostanza mi pare che i miei coetanei o anche quelli del decennio precedente stiano invecchiando molto bene, molto meglio di quelli di prima. Infatti la generazione dei nostri genitori, ha sì raggiunto un'età ragguardevole, la più alta di tutte le generazioni umane che ci hanno prededuto, pur tuttavia mi pareva che mostrasse interamente la propria età.
Invece la mia generazione, si avvia a raggiungere l'età di quella precedente, ma mostra meno la sua vecchiaia. Mi pare meno decrepita.
A parità di età fra noi e i precedenti, noi mostriamo di essere meno vecchi.
Un'illusione?
O un dato oggettivo, spiegabile col fatto che noi non abbiamo patito mai penuria di cibo, mancanza di riscaldamento, una guerra e abbiamo goduto di un'assistenza sanitaria generalizzata?
(noi siamo la magica generazione del '68 ...)


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24 agosto 2018

Ancora imprudenze (18-115)

Ancora imprudenze. (18-115)
Me ne vergogno. Ma continuo a essere imprudente.
Soprattutto, alla guida dell'auto mi distraggo.
Oggi si è aggiunta un'imprudenza ulteriore, a piedi.
Stavo andando a prendere il tram. Giunto allo sbocco della galleria ove si trova la fermata, mi accorgo che il tram è già arrivato e la gente comincia a salire. Siamo in estate e le corse sono più rade. Così, per fare più in fretta e non perdere quella corsa, mi metto a correre. Ma per salire devo attraversare la strada. Avendo l'occhio alla porta del tram mi accingo, correndo, ad attraversarla. Con un colpo d'occhio valuto le auto che percorrono la strada: hanno rallentato, vi sono le striscie pedonali. Attraverso la strada di corsa; per giunta inciampo, ma sto miracolosamente in piedi. Giungo in tempo e salgo sul tram.
Quanta imprudenza in pochi secondi!
Non si può attraversare una strada di corsa. 
Non si può far di tutto per prendere un tram: si prende la corsa dopo. 
Non si può, da vecchi, fare le cose che ci riuscivano da giovani.
Non si può essere così imprudenti.
Con l'imprudenza accorcio la mia vecchiaia.


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23 agosto 2018

Prima o poi (18-114)

Prima o poi. (18-114)
Prima o poi succede che qualcuno ci debba aiutare a vivere, quando abbiamo raggiunto la
vecchiaia avanzata.
A mia madre successe perchè, dopo gli ottant'anni, la perdita di memoria le impediva di svolgere i compiti più necessari. A mio zio dopo gli ottantacinque quando viveva da solo e cadde a terra in casa e non riuscì più ad alzarsi. Ai miei vicini novantenni quando la signora è caduta di notte in bagno e suo marito dovette chiamare il pronto soccorso per poterla rimettere in piedi.
In questi casi sono i figli o i nipoti che si preoccupano, che colgono l'insostenibilità di una
vita ancora autonoma e solitaria. Prima attraverso l'assunzione di una persona che li aiuti nelle faccende domestiche, poi attraverso l'assunzione di una badante.
Gli anziani spesso non capiscono la gravità della situazione, tentano di resistere. Poi si rassegnano.
È dolorosa la perdita di autonomia. È doloroso che siano gli altri a decidere per noi.
Ma è inevitabile.
E io lo temo particolarmente. Cerco di non pensarci. Non programmo nulla.
Ma mi ci sto avviando, inesorabilmente.


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20 agosto 2018

La follia nella vecchiaia (18-113)

La follia nella vecchiaia. (18-113) (20/08/18)
Un passo dell'Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam (1511).
Ad un certo punto la follia stessa descrive la vecchiaia:

...finchè non sopraggiunge la gravosa vecchiaia, la molesta vecchiaia, odiosa non solo agli altri, ma anche a se stessa. Nessuno dei mortali riuscirebbe a sopportarla se, ancora una volta, impietosita da tanto soffrire, non venissi in aiuto io [la follia]... e per quanto è possibile non riportassi all'infanzia quanti sono prossimi alla tomba, onde il volgo, non senza fondamento, usa chiamarli rimbambiti.
Ma delirano ormai, non ragionano più!
Certo. E' proprio questo che significa tornare fanciulli. Forse che tornare fanciulli non significhi delirare e non avere senno? e non è proprio questo, il non avere senno, ciò che più piace di quella età?
Così, per mio dono, il vecchio delira. E tuttavia questo mio vecchio delirante è libero dagli affanni che travagliano il saggio; quando si tratta di bere è un allegro compagno; non avverte il tedio della vita, che l'età più vigorosa sopporta a fatica.”


Che distanza fra queste parole e la realtà dei nostri giorni, soprattutto a proposito dei malati di Alzheimer e dei loro familiari!


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16 agosto 2018

Soluzioni (18-112)

Soluzioni. (18-112)
Riporto dal sito di Diego Bonifazi, assistente sociale di Roma, un scritto su:
La quarta età. Invecchiamento consapevole.

... Se un anziano si ritrova tutto il giorno in casa da solo, si pensa che l'unica alternativa sia uno spostamento in una casa di riposo, mentre invece, anche se poco pubblicizzati, da anni sono presenti in tutto il territorio nazionale centri diurni per anziani (centri con attività dal mattino al pomeriggio, con  organizzazione  funzionale al raggiungimento degli obiettivi di socializzazione e di aggregazione dell'anziano utente, che diventa egli stesso risorsa del territorio); che permettono all'anziano di trascorrere la giornata in compagnia dei coetanei, e alla famiglia di lavorare o comunque svolgere le proprie attività...”
 
L'autore scrive di quarta età, quella della perdita di autonomia, quella in cui, come per i bambini, la famiglia deve collocare in qualche modo l'anziano, mentre gli altri membri sono al lavoro.
Non ho mai visitato uno di tali centri, anche se anni addietro ne avevo avuto notizia.
Il sistema mi pare buono.
Ma dubito che un anziano, soprattutto se poco autosufficiente, accetti tranquillamente di frequentare un tale asilo per vecchi
A quell'età anche un semplice spostamento (da casa all'asilo) diventa faticoso e problematico, per non parlare della difficoltà psicologica di inserirsi in un ambiente nuovo o, ancor prima, di accettare una tale soluzione.
Perchè in età molto avanzata l'orizzonte si riduce a quello della propria casa, per non dire della propria stanza.


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15 agosto 2018

La vecchiaia delle donne (18-111)

La vecchiaia delle donne. (18-111)
Ho trovato un articolo di Daniela Monti su un giornale nazionale (corriere.it) che racconta la
vecchiaia delle donne, commentando un nuovo libro della filosofa Francesca Rigotti (De
senectute, Einaudi). 
La tesi della filosofa è che le donne vecchie subiscono una doppia discriminazione, in quanto donne e in quanto anziane. La considerazione sociale della donna anziana sarebbe la più bassa nella scala sociale.
Non ho nessuna preparazione per entrare in argomenti che hanno a che fare con femminismo e filosofia, ma qualche anno fa, su questo diario, avevo osservato che invece le donne cominciano la vecchiaia almeno dieci anni dopo gli uomini. Concludevo che le donne invecchiano meglio e che conservano un ruolo sociale migliore, probabilmente per l'aiuto che possono dare in famiglia nell'accudimento dei nipoti.
Mi pare d'aver capito che la tesi della Rigotti abbia a che fare con la considerazione sociale e non col reale ruolo sociale (cioè l'importanza per la società dell'attività delle donne vecchie).
Comunque la tesi della filosofa è interessante e necessita di essere approfondita, anche per i riflessi inevitabili sulla vecchiaia tout court.
Il suo libro è nella mia lista degli acquisti.




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13 agosto 2018

Adattarsi (18-110)

Adattarsi. (18-110)
Comincio a intravedere i problemi dell'età molto avanzata (mi ci sto avvicinando). Nella quale
l'autonomia diminuisce.

Il proprietario dei terreni sui quali è stato costituito il parco vicino a casa, è un anziano medico che ha superato gli ottanta, da un pezzo. Non l'ho conosciuto nell'età di mezzo, quando aveva un forte ruolo sociale, bensì qualche anno fa, quando ormai era in pensione.
Alto massiccio, lievemente claudicante. Ultimamente non lo vedevo più.
Mi hanno riferito che non riesce più a camminare con sicurezza, neppure con il bastone singolo. Gli hanno proposto il deambulatore, appoggio ben più sicuro dell'incerto bastone. 
Si è rifiutato, categoricamente.
Non sopporta di essere ridotto in quello stato. Preferisce starsene a casa.

La mia vicina novantenne, dopo una caduta notturna durante la quale il marito non è riuscito ad
aiutarla, è alla ricerca di una badante. O meglio è la figlia che gliela sta imponendo, per sua
tranquillità. Fa mille difficoltà per accettare la nuova condizione di persona bisognosa di aiuto
notte e giorno.

Diversamente dai due esempi precedenti, Romano, mio insegnante di vecchiaia, ben prima di diventare dipendente, ha scelto di prendere in casa una badante. Scelta straordinariamente
intelligente e molto previdente.

Dopo gli ottanta bisogna adattarsi. Molte sicurezze vengono meno. Non c'è nulla di vergognoso nel fatto di avere bisogno di aiuto: è nell'ordine naturale delle cose.
Ma molti non si adattano: è un tipico problema psichico dell'età avanzata.




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11 agosto 2018

Caldo e fatica (18-109)

Caldo e fatica. (18-109)
Gli anziani mal sopportano temperature troppo elevate. La capacità di termoregolazione che
avevano da giovani diminuisce. Aumenta la fatica per adattarsi a un clima più estremo.
Questo è il punto.
Il caldo aumenta la fatica.
E di conseguenza la stanchezza.
È un punto sul quale non avevo riflettuto, nelle altre pagine di diario in cui avevo affrontato lo stesso tema. Mi è saltato agli occhi osservando che durante i mesi estivi ho assoluta
necessità di un riposo pomeridiano. 
E che riposo! Almeno due ore di sonno.
Ho anche osservato che dopo il sonno pomeridiano non solo sono  ben riposato, ma patisco di meno il caldo.
Insomma il caldo affatica, soprattutto gli anziani.
Si tratta di una reale fatica fisica, che va combattuta aumentando il riposo.



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09 agosto 2018

Fare (18-108)

Fare. (18-108)
Gran caldo.
Nessun desiderio di fare alcunchè. Eppure di cose da fare ne avrei a iosa.
Sensazione di non riuscire a far fronte a tutto ciò che devo fare (oppure voglio fare).
Come se non ne avessi il tempo.
O meglio: come se non avessi né tempo, né energia, né motivazione.
Finora ho sempre sentito il dovere di svolgere i miei compiti (per esempio, eliminare tutto ciò che ho accumulato). 
Ora sta affiorando un sentimento nuovo: se non ci riuscirò, poco male.

Non riuscire a far fronte alle cose della vita.
Cioè alla vita stessa.
Non è questo forse ciò che succede quando si è vicini alla morte?
Il corpo non ce la fa a svolgere tutti i compiti per restare in vita.
Così muore.
Dunque, la sensazione di non riuscire a svolgere ciò che la vita mi richiede, non è forse
un'anticipazione di quel che sarà durante la morte? 
E cominciare ad abbandonarsi alla propria
impotenza, non è come un esercizio per abbandonarsi infine alla morte, invece di resisterle?




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08 agosto 2018

Esiti (18-107)

Esiti. (18-107)
La mia vicina novantenne è caduta in bagno, di notte.
Il marito se n'è accorto e ha cercato di soccorrerla, invano (non riusciva a rimetterla in piedi). Ha chiamato l'ambulanza e la signora è stata ricoverata in ospedale per qualche giorno.
Nessuna rottura, nessuna ischemia cerebrale, forse un piccolo collasso dovuto al caldo.
Tutto bene dunque.
Ma il fatto ha convinto i figli che la coppia novantenne non può più stare da sola: ha bisogno di
assistenza. Inevitabilmente stanno cercando una badante.
Nella vecchiaia estrema giunge un momento in cui la vita cambia, perchè si perde autonomia:
qualcuno ci deve seguire passo passo.


Il mio meccanico d'auto, ottantenne, ha subito una emorragia cerebrale.
È stato “salvato”, cioè è ancora vivo.
In realtà è solo parzialmente vivo: ha perso l'uso della parola e la parte sinistra del corpo è paralizzata.


Una coetanea, che abita proprio davanti a mia casa, ha cominciato a non camminare più.
Poi è stata ricoverata in ospedale.
L'operazione, che ha subito, ha peggiorato la sua condizione: è stata per mesi in rianimazione, lucida. Chiedeva di esser lasciata morire.
È morta qualche giorno fa.


Tre storie di vecchi, relativamente comuni.
Tre modi in cui la condizione di vecchi peggiora. Ma due di queste hanno a che fare con malattie, identificate (nel pensiero comune) con la vecchiaia stessa.
La mia opinione è che no, vecchiaia e malattie non sono sorelle. Dipende dallo stile di vita
(ne ho scritto a lungo nel 2014 e nel 2015).




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03 agosto 2018

Da vecchi, abitare vicini (18-106)

Da vecchi, abitare vicini. (18-106)
Riporto una pagina trovata su internet a proposito del co-housing, cioè abitazioni collaborative: un'idea per i vecchi.

Abitazioni collaborative: sempre più persone scelgono di invecchiare tra amici -
Gli spazi abitativi dove ogni nucleo familiare ha una propria abitazione individuale, ma con spazi comuni condivisi, sono già diventati di tendenza sia in Europa che negli Stati Uniti. Questa è la base dell’organizzazione residenziale che sta accumulando adepti anche nel nostro paese.
Si tratta di un nuovo modo di vivere che sta prendendo piede in tutto il mondo e che stanno adottando anche molte persone anziane. Questo modello abitativo chiamato “co-housing” o “co-abitazioni” propone uno stile di vita che recupera valori solidali e di collaborazione reciproca tra persone che vivono nelle vicinanze.
Le motivazioni che portano le persone più anziane ad adottare questo tipo di vita sono differenti. Spesso, nascono per via del pensiero di un futuro che non si desidera, come per esempio: “non voglio essere un peso per i miei figli”, “non voglio che nessuno decida per me il luogo in cui andrò a vivere”, ecc.
In principio, queste riflessioni possono risultare impulsive, ma l’idea si consolida e diventa più forte quando la persona vede il co-housing come un’enorme opportunità: invecchiamento attivo,
supporto emotivo da parte di una comunità in cui ci si sente inclusi, risparmio economico, un ambiente di formazione in cui intraprendere progetti e che si adatta alle esigenze di ognuno che col tempo possono cambiare, molto divertimento…

Origini del co-housing

Il co-housing è nato in Olanda ed in Danimarca negli anni ’70, partendo, soprattutto, dalle necessità delle giovani famiglie. A differenza del modello delle “comuni”, il co-housing permetteva di avere un’abitazione ad uso privato ed una propria economia domestica, ma anche di poter condividere attività come i lavori di casa, l’educazione dei bambini ecc. Si estese rapidamente sia in questi paesi che in molti altri come la Svezia, la Germania, gli Stati Uniti, il Canada, ecc.
Dopodiché, negli anni ’80, quando alcuni di questi pionieri iniziarono ad invecchiare, si resero conto che le loro esigenze erano diverse da quelle delle persone più giovani e, per questo, cominciarono a creare delle comunità “senior”. Si tratta di scelte personali: c’è chi pensa che confrontarsi con persone affini e che vivere insieme a gente della stessa età possa aiutare. In ogni caso, la vita in queste comunità è veramente intergenerazionale, poiché è aperta al quartiere o alla comunità più ampia.

Queste sono le caratteristiche che accomunano le co-housing di tutto il mondo:

È auto-promosso, con iniziative e design del gruppo.
È co-progettato, con un modello atto a favorire le relazioni tra vicini.
Esistono zone comuni significative, le quali sono un’estensione dell’abitazione.
È autogestito, con un’organizzazione che comprende la collaborazione per le attività comuni (commissioni, ecc,).
Non esiste gerarchia, i ruoli vengono suddivisi in modo naturale.
L’economia è privata e le case sono dotate di tutti gli elementi che garantiscono l’indipendenza di chi le vive.
Nell’immaginario comune le comunità co-housing di anziani vengono associate erroneamente ad un determinato modello che deriva dalle residenze per anziani: spesso vengono confuse con “appartamenti con servizi”, “senior resorts”, o “appartamenti sorvegliati”, dove non si possono trovare le sei caratteristiche menzionate in precedenza, principalemente per quanto riguarda l’autopromozione, l’autogestione e la mancanza di gerarchia.
Il co-housing non può nemmeno essere definito per la composizione degli edifici, però si può riconoscere per il proprio disegno sociale. Di fatto, il co-housing assomiglia di più ad un piccolo quartiere o ad una comunità di vicini ben assortita, proprio perché viene creata con l’intenzione di vita collaborativa e di aiuto reciproco.
Il processo di creazione della comunità, prima della creazione del complesso abitativo, esige metodologie partecipative e strumenti di intelligenza collettiva. E, soprattutto, il desiderio di “far parte” (= partecipazione, in misura maggiore o minore) è una delle chiavi di questo stile di vita.




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