23 dicembre 2019

La vita e i giorni di Enzo Bianchi (2) (19-145)

La vita e i giorni di Enzo Bianchi (2) (19-145)
Ho finito di leggere il libro di Bianchi.
Confermo il mio giudizio su questo testo (vedi 19-142).
Anche se nella seconda parte si accentuano le riflessioni sulla sua scelta fondamentale di vita (la fede cristiana, Bianchi è un monaco cristiano), restano numerose osservazioni sulla vecchiaia pura e semplice. Come ho scritto, molte osservazioni le ho fatte anch'io in questi sette anni di diario: segno che l'esperienza della vecchiaia è realmente comune per tutti i vecchi o almeno per coloro che si soffermano a riflettere sulla loro vita.

Mi hanno colpito particolarmente due riflessioni, che io non avevo fatto nel senso indicato da Bianchi.
La prima si può sintetizzare nell'espressione: "la vecchiaia è il tempo in cui si deve mollare la presa". Cioè si deve cessare di voler tenere tutto sotto controllo, si deve smettere di riportare a sè la vita di altri (di gruppi, o anche di singoli familiari). Bianchi è un monaco e non lo può sapere, ma la sua osservazione si applica facilmente a chi ha dei figli. Diventando vecchi si deve mollare la presa sui figli. Lasciare che facciano la loro vita, anche se non la condividiamo. Si deve cessare di star loro col fiato sul collo. Del resto non si può fare altrimenti, perchè le forze di un anziano si vanno affievolendo: neanche con sforzi enormi si può continuare a essere presenti sulla scena del mondo (cioè nella vita dei nostri figli) a settanta – ottanta anni.
La vecchiaia è l'arte del distacco anche da loro.

La seconda osservazione sorprendente è quella relativa all'incompiutezza della propria vita. 
I vecchi si devono rassegnare al fatto di non poter pretendere di completare ciò che stanno facendo: la vita è di per sè incompiuta.
Da una parte ciò presuppone una fiducia nei più giovani, che prenderanno il nostro testimone e lo porteranno avanti. Cioè i nostri progetti non si concludono con noi.
Si completeranno senza di noi.
Dall'altra parte il concetto di incompiutezza centra in pieno la condizione umana: soprattutto a riguardo della nostra aspirazione all'immortalità. La vita è destinata a finire e perciò è in contraddizione col nostro sentimento interiore che la vorrebbe eterna.
La vita dunque è sempre incompiuta, proprio in quanto finisce.

Un bel libro. Da leggere.

(Indici dei primi anni a pag. 107 e pag. 442. Sintesi del 2012 a pag 14-41. Dal 2016, nell'ultimo giorno di un bimestre, compare una sintesi del bimestre appena concluso.
Per comunicazioni private: holgar.pd@gmail.com )

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