20 gennaio 2019

Non siamo liberi (19-007)

Non siamo liberi. (19-007)
Riprendo una parte della pagina di ieri: quella in cui sostenevo che di fatto nella scelta del cibo, non siamo liberi.
Giocano molti fattori.

In primis, la cultura dominante, secondo la quale il cibo non influisce sulla salute (e su tale cultura hanno responsabilità i medici di base). E quando palesemente si riscontra che invece il cibo genera malattia, si invoca come causa la deboleza genetica dell'individuo che si ammala, assolvendo di fatto il tipo di cibo del quale il malato si è nutrito.

Poi la produzione industriale del cibo, sia come agricoltura che come industria di trasformazione dei prodotti agricoli: non siamo noi, ma altri che decidono che cosa produrre e immettere nel mercato e lo fanno perseguendo come unico scopo la massimizzazione del profitto. Altro che salute!

Ancora: i grandi distributori del cibo (gdo: grande distribuzione organizzata), cioè le catene dei supermercati. Anche in questo caso altri e non noi decidono le referenze da introdurre nei punti vendita, avendo come unico scopo il profitto. Ci lasciano l'illusoria sensazione di libertà, perchè possiamo scegliere fra marchi diversi. Ma quei prodotti spesso sono simili, quando non addirittura identici. Perchè prodotti dallo stesso stabilimento con la stessa ricetta.

Altra causa di mancanza di libertà: la pubblicità.
Un potente strumento in mano a produttori e distributori è la pubblicità ossessiva dei prodotti alimentari, attraverso la televisione. Immagini fuorvianti (un mulino come luogo di produzione!), collegamento di un prodotto a benessere, felicità, festa (la pubblicità dello spritz, citato nella pagina precedente), messaggi continui ad ogni ora del giorno e tutti i giorni. Tutto ciò lascia il segno, se non c'è nel consumatore una solida informazione.

Ma la nostra libertà di scelta ha altri nemici.
Innanzi tutto la gradevolezza del cibo proposto, con l'uso abbondante di insaporenti (sale, olio, glutammato, zucchero). A una prima impressione il cibo industriale sembra buono, perchè spesso ha un sapore forte. Bisognerebbe essere stati educati ad analizzare i retrogusti che restano in bocca, dopo qualche minuto, per accorgersi che non è poi così buono.

Non basta: un altro nemico è la gastronomia, cioè l'elaborazione dei prodotti secondo ricette che ne esaltano la bontà. E questo nemico è invincibile. Se non è difficile smascherare la scarsa qualità organolettica dei prodotti industriali, è impossibile resistere all'autentica squisitezza di prodotti di alta qualità (parlo soprattutto della tradizione gastronomica del mio paese, l'Italia).
Purtroppo la bontà di un prodotto non è garanzia di salute, soprattutto perchè oggi si fa un uso quotidiano di piatti che un tempo erano limitati soltanto alla domenica o addirittura soltanto alle tre o quattro maggiori festività durante l'anno.

Infine non siamo liberi in ciò che mangiamo perchè viviamo in un contesto sociale: amici e familiari. La cerchia degli amici più cari è spesso pervasa della cultura dominante. E i nostri parenti più stretti magari sono quelli che ci preparano pranzi e cene, o quelli che fanno gli acquisti. E se sono contrari a ciò che vorremmo mangiare noi, la vita diventa dura.

Difficilissimo essere liberi di mangiare ciò che vogliamo.
Per farlo dovremmo non aver nulla da perdere.
Cioè essere vecchi.
(ma spesso i vecchi sono più preda della cultura dominante e di altri che preparano loro il cibo)


(Indici dei primi anni a pag. 107 e pag. 442. Sintesi del 2012 a pag 14-41. Dal 2016, nell'ultimo giorno di un bimestre, compare una sintesi del bimestre appena concluso.
Per comunicazioni private: holgar.pd@gmail.com )

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