15 novembre 2013

Udire (403)

Udire. (403) (15/11/13)
Non ricordo più dove l'ho letto. Pare che, al momento della morte, l'ultimo dei sensi che si affievolisca,  sia l'udito. Pare che si oda anche dopo che abbiamo esalato l'ultimo respiro.
Chissà, forse per qualche minuto. Il tempo in cui il cervello funziona ancora, prima di arrendersi alla mancanza di ossigeno. Però potrebbe essere anche un tempo più lungo.
Vi sono stati casi di annegamento (in acque fredde) nei quali degli individui sono restati senza ossigeno anche per un quarto d'ora. E non sono morti.
Per questo motivo ho sempre pensato che se assistevo una persona in fin di vita, le avrei fatto ascoltare della musica. Ma i casi in cui assisti qualcuno che sta morendo sono rari.
Ricordo che di questo parlavo con una vecchia zia, la mia preferita, con la quale condividevo la passione per la musica. Lei mi disse: “Quando morirò, mi piacerebbe che qualcuno mi facesse sentire l'adagio della nona sinfonia di Beethoven.”
Incautamente le promisi che l'avrei fatto.
È morta dieci anni fa. Non ero presente. Arrivai poco dopo. Avrei potuto accendere il giradischi con quel brano che le piaceva tanto. Non lo feci. Anche se eravamo pochi parenti stretti, quel gesto non sarebbe stato capito.
Soprattutto dall'anziano zio, che non credeva in queste cose.
Mi è sempre rimasto il cruccio di non averla accontentata.
Vorrei che qualcuno lo facesse per me. 
Al momento della mia morte.

(L’indice per argomenti delle prime 300 pagine del diario si trova a pagina 300.)
(per comunicazioni private: holgar.pd@gmail.com )

Nessun commento:

Posta un commento