27 settembre 2013

Visioni diverse (360)

Visioni diverse. (360)
Dicevo a mia moglie, scendendo le scale: “Come è facile per noi scendere le scale! Penso alla fatica dei nostri vicini ultra-ottantenni.” Ero colpito da come le mie gambe mi obbedissero con facilità. E da come, invece, fra vent’anni il corpo non risponderà più.
Mia moglie mi ha chiesto: “Ma tu pensi spesso alla tua futura invalidità?” Ho risposto di sì.
Lei ha commentato: “Hai una vena depressiva. Io non ci penso. Ci penserò quando capiterà. Per ora mi concentro su quello che le mie gambe possono darmi adesso. Non mi viene in mente quello che non potrò fare l’anno prossimo. Tanto meno fra vent’anni!” 

Ho confessato che io invece ne avevo paura.
Parlarne, dirmelo è un modo per esorcizzare l’invalidità. E’ anche un modo per prepararmi all’evenienza. Per non essere colto di sorpresa da una grave perdita. Abituarmi fin da adesso al momento in cui non avrò più alcune abilità.
C’è una debolezza nel mio pensiero. Esso alimenta una paura per qualcosa che potrebbe avvenire in un futuro abbastanza lontano. E non mi permette di godere di ciò che ho.
E’ lo stesso anche per la morte. Inutile pensarci ora. Ci penseremo quando ne saremo più prossimi.
Dunque si può vivere la vecchiaia pensando ad altro, facendo progetti di vita. Come se la morte non ci fosse.
E’ il dono che i greci attribuivano a Prometeo: la cecità riguardo alla certezza della morte, per poter vivere, per non esserne paralizzati (vedi n. 151, 152).
Sono modi diversi di vivere la vecchiaia.

(L’indice per argomenti delle prime 300 pagine del diario si trova a pagina 300.)
(per comunicazioni private:           holgar.pd@gmail.com             )

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