Ho fatto il conto.
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Vicino a casa, su
un pilone, è affissa una locandina mortuaria. L'ho guardata. La
persona morta mi pare di conoscerla. Uno di quei volti noti, visti in
quartiere. Nulla più. Allora ho fatto due calcoli. Quando morirò,
quante persone lo sapranno? A quante importerà?
C'è la cerchia dei
parenti. Figlio, cugini, figli dei cugini. Più i parenti di mia
moglie. Più altri. In totale 60 – 70 persone. Poi gli abitanti del
condominio dove abito e quello dove abita mio figlio. Un'altra
trentina di persone. Il vicinato, i padroni di cani, la gente del
luogo di lavoro. Ho fatto il conto: circa 150 persone. Aggiungendo
gente che non vedo da tempo, arrivo a duecento.
Di questi, a quanti
importerà così tanto da venire al mio funerale? Ho fatto il conto:
non più di trenta – quaranta persone. Se muoio adesso. Se muoio
fra dieci anni, le relazioni saranno di meno. I partecipanti al
funerale scenderanno.
Quando muore una
persona, la gente a cui importa è proprio poca. Se poi il morto è
un anziano, importa a pochissima gente. Lo si vede ai funerali degli
anziani: poche auto, chiese semivuote.
Inutile illudersi:
importiamo a pochi. E anche questi pochi se ne dimenticheranno in
fretta, presi dalle vicende della vita.
Fin che siamo in
vita, per alcuni (pochi) siamo importanti.
Da morti, scompariamo
prestissimo.
Specie se siamo anziani.
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