14 marzo 2013

Ho fatto il conto. (173)
Vicino a casa, su un pilone, è affissa una locandina mortuaria. L'ho guardata. La persona morta mi pare di conoscerla. Uno di quei volti noti, visti in quartiere. Nulla più. Allora ho fatto due calcoli. Quando morirò, quante persone lo sapranno? A quante importerà?
C'è la cerchia dei parenti. Figlio, cugini, figli dei cugini. Più i parenti di mia moglie. Più altri. In totale 60 – 70 persone. Poi gli abitanti del condominio dove abito e quello dove abita mio figlio. Un'altra trentina di persone. Il vicinato, i padroni di cani, la gente del luogo di lavoro. Ho fatto il conto: circa 150 persone. Aggiungendo gente che non vedo da tempo, arrivo a duecento.
Di questi, a quanti importerà così tanto da venire al mio funerale? Ho fatto il conto: non più di trenta – quaranta persone. Se muoio adesso. Se muoio fra dieci anni, le relazioni saranno di meno. I partecipanti al funerale scenderanno.
Quando muore una persona, la gente a cui importa è proprio poca. Se poi il morto è un anziano, importa a pochissima gente. Lo si vede ai funerali degli anziani: poche auto, chiese semivuote.
Inutile illudersi: importiamo a pochi. E anche questi pochi se ne dimenticheranno in fretta, presi dalle vicende della vita.
Fin che siamo in vita, per alcuni (pochi) siamo importanti. 
Da morti, scompariamo prestissimo. 
Specie se siamo anziani.

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