19 febbraio 2013

Prometeo 2. (152) (altri: 151, 147, 145, 51 e in generale i Punti fermi)
Il mito è interessante (soprattutto attraverso la spiegazione che ne dà U. Curi nel libro Via di qua. Imparare a morire). Il mito dice che la morte è naturale. E’ nell’ordine della natura.
Pacifica la mente, quest’idea. E la vita? Incide nella vita? Vorrei approfondire. Vorrei trarne un insegnamento per la vita. Concreto. Da usare tutti i giorni.
La vita prende significati diversi se finisce o non finisce. Se la vita finisce con la morte, la morte dà significato alla vita.  Siccome la vita finisce, questo finire illumina la vita. Per fare un esempio banale, si pensi a una partita di calcio. Quando si è verso la fine del secondo tempo, le due squadre sentono che l’incontro sta per finire e giocano di conseguenza. Chi è in vantaggio si arrocca e difende. L’altra squadra, se può, attacca a più non posso. La fine imminente della partita determina i comportamenti dei giocatori.
Così la morte dà un senso alla vita. O meglio alla sua ultima parte. Perché per tre quarti della vita viviamo come se fossimo immortali ( a causa del dono di Prometeo). Soltanto nell’ultimo quarto pensiamo alla morte. Qual è il senso che la morte dà all’ultima parte della vita?
La morte insegna che non c’è più tempo. Quel tempo che resta dobbiamo usarlo in modo diverso.
Perché è poco. E’ prezioso.
E’ un tempo di distacco. E’ un tempo di preparazione alla morte. Cioè al finire.
Anche tempo di bilanci. Di riflessione sulla vita che abbiamo vissuto.
Tempo per un'autobiografia.

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