17 agosto 2021
Quando si è morti si è morti e quando si è vivi si è vivi * (21-096)
Quando si è morti si è morti e quando si è vivi si è vivi.* (21-096)
Non credo che esista affermazione più lapalissiana di questa. Così banale da non dovervi dedicare nessun altro tempo per approfondimenti.
E invece nasconde il mistero.
La cesura profondissima fra l'essere vivi e l'essere morti. Ogni vivente lo capisce subito quando si trova di fronte al corpo di una persona morta da poco.
Tutto ciò ha ricadute pratiche e di pensiero di non poco conto.
All'inizio della mia entrata nella vecchiaia, mi pareva che gli anni che avevo davanti dovessero essere impiegati nella preparazione alla morte prossima (o presunta tale). Ma nella vita vera di un vecchio vero ciò non accade, se non forse negli ultimissimi tempi (mesi).
Quando si è vivi ci si occupa soltanto di vivere, non della fine, per quanto prossima possa sembrare. Occuparsi di vivere non significa fare grandi sforzi di ripensamenti filosofici, spirituali o di bilancio della propria vita. Significa soltanto vivere, nella dimensione più elementare possibile. Respirare, muoversi, pensare a quello che si deve fare eccetera eccetera. Minuzie, cosucce.
Vita.
Sembra l'ennesima versione del dono di Prometeo agli esseri umani: la cecità di fronte alla morte.
Invece quando si è morti, si è morti. Ma a differenza dell'esperienza della vita, dell'essere morti non abbiamo alcuna esperienza. Vale a dire che nessuno ha avuto contemporaneamente esperienza del vivere e dell'essere morto.
Non so chi l'abbia detto, ma della morte sappiamo soltanto questo: non ne sappiamo nulla.
(Per comunicazioni private: holgar.pd@gmail.com)
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