Prospettiva
lunga. (19-135)
Uno
dei vantaggi della vecchiaia è che permette visioni allungate
sul tempo che passa. Permette di fare confronti fra oggi e quaranta o
cinquanta anni fa. Un quarantenne o anche un cinquantenne non lo può
fare. È vissuto troppo poco. Il suo sguardo consapevole
arriva a venti-trenta anni addietro.
Non
di più, è ovvio.
Cercando
informazioni sulla disciplina igienica della produzione di cibo in
Italia, sono
capitato
sulla prima legge dell'Italia repubblicana: la 283 del 1962. La legge
prevedeva che entro un anno sarebbe stato emesso il regolamento
applicativo, in modo da entrare in vigore.
La
legge era uno dei frutti della stagione di riforme che si ebbe a
partire da quell'anno e che portò, fra l'altro, alla
nazionalizzazione dell'energia elettrica, all'estensione dell'obbligo
scolastico fino a 14 anni, alla legge contro la speculazione edilizia
e appunto alla disciplina della produzione di alimenti. Le reazioni a
quelle leggi furono forti da parte di chi si avvantaggiava della
situazione precedente.
Eclatante
fu la reazione alle nuove normative sul cibo: invece di un anno il
decreto applicativo impiegò quasi vent'anni per vedere la luce. Cioè la legge fu fatta slittare di un ventennio.
Potenza
immensa dei produttori di cibo!
Impossibile
non fare un paragone con quanto sta avvenendo in Unione Europea a
proposito di un tema simile: la revisione delle norme sugli additivi
alimentari (2010). Affidata all'Efsa (agenzia europea che si occupa
della sicurezza alimentare), questa (o chissà chi in sua vece) si è data ben dieci anni per la
revisione (attualmente non è ancora stata ultimata).
Revisione che
comporterebbe inevitabilmente una riduzione di molti limiti massimi
per l'utilizzo degli additivi negli alimenti e dunque una restrizione
degli utilizzi nell'industria.
Da
vecchio che ricorda la legge del 1962 non posso non fare confronti e
constatare che i cittadini europei sono ancora ostaggio
dell'industria del cibo.
Quando
si è vecchi dunque si possono fare confronti.
Altro
esempio riguarda le banche. È di questi giorni il comunicato di
un'importante banca italiana di tagliare di circa 5000 unità i suoi
impiegati. Crisi? No, effetti della tecnologia. Trasferendo alcune
attività on line, c'è bisogno di meno personale.
Ricordo
bene che vent'anni fa, almeno qui da noi, è cominciata l'era
dell' internet banking. Si è cominciato a fare tutto da casa
e soprattutto facciamo tutto noi clienti (con tanto di perdita
di tempo e di errori).
Comodo,
no? Dipende.
Se
si è un'impresa, sì, ma se si è un privato cittadino, no.
Prima
si passava per l'impiegato di banca che, in meno tempo e con più
precisione, ci risolveva i problemi. Qualche criticità, ma
ingranaggio liscio e collaudato.
Il
cambiamento successivo è sembrato innocuo e dovuto al progresso.
Ma
i risultati veri si vedono adesso: riduzione del personale.
Le
banche non hanno intrapreso la via degli sportelli elettronici per
velocizzare le operazioni o per amore del progresso o per farci risparmiare. L'hanno fatto
semplicemente per ... fare soldi.
Per
dare più utili agli azionisti (cioè a coloro che hanno già molto
denaro): non a caso contemporaneamente all'annuncio dei futuri licenziamenti, l'azienda ha comunicato che nei prossimi cinque anni l'utile per gli azionisti sarà di almeno 5-8 miliardi di euro!
Della questione delle 5000 famiglie che perderanno reddito, l'azienda non
è interessata.
È
l'economia, bellezza!
Da
vecchi si ha una visione che spazia più lontano (nel tempo).
Si
fanno confronti, si danno giudizi.
E
ci si indigna.
(Indici
dei primi anni a pag. 107 e pag. 442. Sintesi del 2012 a pag 14-41.
Dal 2016, nell'ultimo giorno di un bimestre, compare una sintesi del
bimestre appena concluso.
Per comunicazioni private: holgar.pd@gmail.com )
Per comunicazioni private: holgar.pd@gmail.com )
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