25 luglio 2013

Un articolo (299)

Un articolo. (299)
Un gran bell’articolo di un vecchio sulla vecchiaia.
Il vecchio è Oliver Sacks. Neurologo britannico.  Ne riporto alcune parti.
Il testo intero è sulla rivista italiana Internazionale n. 1009 del 19/07/2013, a pagina 82, col titolo: Le gioie della vecchiaia (dico sul serio).
E’ comparso anche sul New York Times col titolo: The joy of old age (no kidding). Non so in che data.

“… Ottant’anni! Stento a crederci. Spesso ho l’impressione che la mia vita stia per cominciare, per poi rendermi conto che invece è quasi finita. […] A ottant’anni e con una manciata di problemini medici e chirurgici, nessuno dei quali invalidante, sono felice di essere vivo. “Che bello non essere morto!” Ci sono volte in cui questa frase mi esplode da dentro, quando il tempo è meraviglioso. […] Sono grato delle tante esperienze che ho avuto (alcune meravigliose, altre orribili) e di aver potuto scrivere una decina di libri.”
[…] “Sento che dovrei tentare di completare la mia vita, qualunque cosa l’espressione completare una vita possa significare. Alcuni dei miei pazienti, che hanno più di novant’anni o cento, dicono nunc dimittis: “Ho vissuto una vita piena e adesso sono pronto per andarmene.” […] Io non credo né aspiro a una esistenza post mortem se non nel ricordo degli amici e nella speranza che qualcuno dei miei libri, una volta che sarò morto, riesca ancora a parlare alle persone.
[…] “A ottant’anni lo spettro della demenza e dell’ictus incombe. Un terzo dei propri contemporanei è morto e tanti altri sono afflitti da profondi danni mentali o fisici, vivono intrappolati in un’esistenza tragica e minima. A ottant’anni i segni del decadimento sono fin troppo visibili. Le reazioni sono più lente, i nomi sfuggono con più frequenza e le energie vanno centellinate. Eppure spesso capita ugualmente di sentirsi pieni di energia e di vita, e per nulla vecchi. Forse con un po’ di fortuna riuscirò a resistere più o meno intatto per qualche altro anno, vedendomi accordata la capacità di continuare ad amare e lavorare: le due cose, secondo Freud, più importanti della vita.”
[…] “Mio padre che è vissuto fino a novantaquattro anni diceva spesso che il decennio fra gli ottanta e i novanta era stato fra i più piacevoli della sua vita. Percepiva, come sto iniziando a percepire io, non una diminuzione, ma un ampliamento della vita mentale e della prospettiva. A quell’età una persona ha avuto un’esperienza di vita lunga, e non solo della propria, ma anche di quella degli altri. Ha visto trionfi e tragedie, boom e crolli, rivoluzioni e guerre, grandi conquiste e anche, sì, zone d’ombra. Ha visto nascere importanti teorie, solo  per poi vederle rovesciate dalla testardaggine dei fatti. E’ più consapevole della transitorietà e forse anche della bellezza. A ottant’anni lo sguardo di una persona è ampio e ha una cognizione vivida, vissuta della storia, che quando si è più giovani è preclusa.”
“Io riesco a immaginare, sentire nelle ossa che cos’è un secolo, e a sessant’anni non ne ero in grado. Non penso alla vecchiaia come a un momento sempre più lugubre, che va sopportato e sfruttato come meglio possibile, ma come a un tempo di svago e libertà, in cui si è liberi dalle urgenze artificiose del passato, nonché liberi di esplorare qualsiasi cosa si desideri, rilegando insieme i pensieri e i sentimenti di una vita passata.
Non vedo l’ora di vivere i miei ottant’anni.”

(Un indice per argomenti delle prime 218 pagine del diario si trova a pagina 202.)
(per comunicazioni private:           holgar.pd@gmail.com            )

Nessun commento:

Posta un commento