Lettere d'amore. (235)
Due anni fa è morto un vecchio zio,
ultranovantenne. Gran parte dei suoi oggetti sono stati gettati.
Conservate invece fotografie e carte varie. Fra queste ultime, mio
cugino ha trovate vecchie lettere d'amore. Mio zio le scriveva a sua
moglie, nei primi anni di fidanzamento. Tenere missive, pudiche e
romantiche, di un giovane degli anni quaranta. Quasi si ha pudore a
leggerle. Per non violare sentimenti molto privati. Neppure dopo la
morte dei protagonisti.
Oggi ho gettato le mie ultime lettere
d'amore. Risalivano a più di vent'anni fa.
Prima di farlo ne ho lette alcune. Le
ho trovate sgradevoli. Artificiose. Più di testa che di cuore.
Estranee. Non mi sono riconosciuto nell'autore. Che ero io.
Erano memoria di un tempo passato. Di
una persona cambiata.
Io, oggi, sono un altro. In quei
sentimenti non mi riconosco.
Il tempo che passa ci trasforma.
Radicalmente.
Un vecchio ha vissuto molto. Ha una
storia lunga dietro di sé. Ma è una storia falsa. Quello che siamo
oggi non c'entra con quello che eravamo ieri. Anche se siamo gli
stessi. Apparentemente.
I vecchi sono esseri completamente
nuovi.
La loro giovinezza, la loro età
matura, che pure li hanno portati alla vecchiaia, non sono parti
costitutive del loro essere vecchi.
La vecchiaia è un'età senza passato.
(L'indice per argomenti delle prime 218
pagine di questo diario si trova al n. 202)
(per comunicazioni private:
holgar.pd@gmail.com )
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