02 aprile 2013

Enzo Jannacci. (190)
E' morto nei giorni scorsi, di cancro, a 77 anni. Cantautore italiano (e medico). Un poeta. Un mito della mia generazione. Le sue canzoni fan venire in mente molti ricordi.
Ricordi di situazioni, di anni, di immagini.
Noi vecchi ricordiamo molto. Una parte della nostra vita la passiamo a ricordare. I ricordi arrivano attraverso un odore, una musica, un'immagine. Hanno la caratteristica di essere spesso bei ricordi. Nei quali ci culliamo a lungo. Abbiamo vissuto molto. Abbiamo tanto da ricordare. Il ricordo diventa la nostra vita, specialmente in età avanzata. Il ricordo ci produce piacere.
Poi ci sono i ricordi brutti. Coi quali stiamo poco. Ma servono anche quelli. Anzi, di più. Possiamo elaborare azioni negative. Guardarle in faccia. Pacificarci. Possiamo fare bilanci.
Il bilancio della nostra vita.

In una delle versioni della sua canzone Quelli che...,  dice: "...quelli che... quel cibo no... quell'altro neppure... la cotoletta no... quelli che vivono da malati per morire sani...". Proprio questo testo ho citato nel numero 186 di questo diario, non ricordandomi che l'avevo sentito nella sua canzone. Curioso che facesse umorismo sul cibo. Lui, un medico. 
Per dire come l'essere poeta, l'essere medico, non lo risparmiava dal luogo comune che si può mangiar quel che si vuole, senza danni, neppure da vecchi.

Intanto è morto anche Franco Califano, altro cantautore italiano. Diceva: spero di diventar vecchio cinque minuti prima di morire.

Vecchi fragili.


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