31 marzo 2013

Via di qua. Ultimo. (188) (altri: 51, 145, 147, 151, 152)
Ho finito di leggere questo libro di Umberto Curi. Bello, colto, sorprendente. L'ho letto perchè aveva un sottotitolo: Imparare a morire. (Da vecchio cerco libri sull'argomento. Vorrei imparare a morire. Vale a dire, imparare a vivere la vecchiaia.)
Ne ho già scritto, accennando a specifici argomenti trattati. Alla fine mi son chiesto: ho imparato qualcosa? Sul morire, dico. A livello intellettuale, sì. Le varie suggestioni proposte da Curi (Prometeo, Alcesti, Euridice, Socrate) mi hanno colpito. I vari ragionamenti sulla morte mi hanno stimolato, aperto orizzonti. Sono soddisfatto. Intellettualmente.
Non sono soddisfatto a livello esistenziale (non so come dirlo in altro modo, non ho una cultura filosofica o psicologica). Insomma alla mia vita di tutti i giorni, il libro non ha aggiunto niente. Forse non l'ho capito. Sono ignorante. Forse non voleva dare quello che era indicato nel sottotitolo. Forse mi sono fatto illusioni indebite.
Io vorrei qualcuno che mi accompagnasse per mano in questa mia vecchiaia. Mi rassicurasse. Mi indicasse passaggi importanti. Segnalasse pericoli. Sottolineasse punti cruciali.
Mi illudo. Questo qualcuno non c'è.
La mia vecchiaia è solo mia.
La mia morte sarà solo mia.

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