08 marzo 2013

Il vecchio solo. (168) (altri: 38, 52)
Vicino a casa, incontro spesso un vecchio. Di prima fascia. Fa delle passeggiate, quando io esco coi cani. Sempre lo stesso percorso. Lo stesso orario. Quello che faccio anch'io. Siamo abitudinari. Tipico dei vecchi. Sembra che viva solo. Nei modi di dire della mia città, vecchi così, li si chiama vitasola.
Vecchiaia e solitudine. Un luogo comune. Ambivalente. Da una parte, libertà. Dall'altra, mancanza. Non di affetti. Di relazioni. Siamo animali sociali. Se mancano relazioni, patiamo. 
A meno che non ci sia un forte dialogo interiore. O una forte spiritualità. Tipico, il monaco. Ma sono rari. Più spesso, prevale la mancanza. Anche se è stata una scelta. I contatti con gli altri sono rarefatti. Devi bastare a te stesso. Devi dare significato alla tua vita. Se incontri gli altri, se sei utile a qualcuno, è diverso. 
Un tempo si dedicava la vecchiaia a opere di carità. Tipo: soccorrere i bisognosi, visitare i malati. Non si tratta di carità. Ma di necessità dello spirito. Stare con gli altri e essere loro utili. Fa parte del nostro essere umani. Confina col ruolo sociale. 
I vecchi patiscono, quando vanno in pensione. Il lavoro garantisce un ruolo sociale. Se non c'è più, bisogna creare altre relazioni. Altra utilità sociale. Invece, in pensione, patiamo perchè nessuno ci cerca. Nessuno usufruisce del nostro sapere.
Dobbiamo essere noi che creiamo nuove relazioni.
Anche con le opere di carità. Magari aiutando anziani di terza fascia.
Noi che, più dei giovani, possiamo capire le necessità dei vecchi e i loro pensieri.

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