29 gennaio 2013

Vita. (134)
Einstein diceva (mi pare): se uno di noi rompe uno specchio, si spaventa perché si aspetta sette anni di disgrazie. Ma c’è una persona che invece ne sarebbe felice. Uno che abbia cent’anni. Perché sette anni di disgrazie sarebbero sette anni in più di vita assicurata. A cento anni la vita rimanente si misura a mesi, non ad anni.
Questo aneddoto viene usato per illustrare il concetto di relatività. Ma c’è un risvolto che fa pensare. Sette anni di vita valgono così tanto da far dimenticare che siano anni di disgrazie? Insomma la vita vale di per sé? Indipendentemente dalla qualità? Oppure in mezzo alle disgrazie trovo ugualmente delle soddisfazioni?
E’ l’istinto di sopravvivenza.  Fa desiderare di vivere anche in mezzo al male. Dipende però da che male. Un cancro che ti consuma, la perdita di un figlio, le atrocità dei lager, sono mali che ti fanno preferire la morte.
Ma altri mali? Tipo quelli della vecchiaia tarda? L’impossibilità di camminare, la perdita di autonomia, i dolori fisici della vecchiaia, si sopportano, perché l’istinto di sopravvivenza è superiore.
Per questo alcuni vecchi proprio non ne vogliono sapere di morire.

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